Anche il vino, come il cibo, per essere consumato secondo le leggi dell’alimentazione ebraica deve essere kosher, ovvero puro, giusto, idoneo. Per raggiungere questo risultato la sua produzione deve seguire un procedimento pieno di regole molto rigide. Il vino infatti considerato un elemento sacro e tutte le manifestazioni religiose ebraiche si svolgono in presenza di un bicchiere da bere all’inizio e alla fine. La sua sacralità rende ogni passaggio produttivo carico di significato e di regole da rispettare.
Esistono tre tipi diversi di vino kosher. Il primo è solo kosher e si può bere quotidianamente tranne che durante lo Shabbat. Poi c’è il vino kosher per Pesach, periodo in cui sono banditi dalla dieta tutti i tipi di farinacei: è una bevanda senza alcuna traccia e contaminazione di lieviti. Infine c’è il vino yayin mevushal, ossia pastorizzato, che può essere servito a tavola anche da non ebrei.
Le regole riguardano principalmente la produzione del vino, gli ingredienti usati e la strumentazione. Ingredienti e strumenti utilizzati devono essere sempre kosher e il personale che lavora deve essere ebreo osservante. Laddove permesso dal materiale, tutto va sterilizzato in acqua bollente. Gli utensili e la strumentazione in gomma vanno sostituiti ogni volta. Inoltre, l’uva deve provenire da una vite con almeno quattro anni di età. I grappoli prodotti nei tre anni precedenti vengono distrutti prima della fioritura. Durante tutto il processo produttivo un rappresentante del rabbino, che poi rilascerà la certificazione, compie frequenti controlli senza preavviso per accertarsi che si stiano rispettando tutte le prescrizioni. La certificazione ha una scadenza e può essere ritirata quando si ritiene che si sia agito in non modo non appropriato.
Al termine della produzione è possibile proseguire con l’imbottigliamento. La norma ebraica richiede che vi siano tre segni di riconoscimento della specificità del prodotto. Si tratta dell’etichetta, sulla quale dovrà apparire il nome del rabbino che ha eseguito il controllo e ha rilasciato il certificato, un’eventuale retro etichetta o in alternativa una capsula termica, e il tappo con segno di riconoscimento o marchio del Rabbinato.
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