Il processo di affinamento in mare prevede l’immersione delle bottiglie di vino in profondità marine, generalmente tra i 30 e i 60 metri. Qui, condizioni come temperatura stabile intorno ai 13-14 °Ce assenza di luce e pressione costante creano un ambiente simile a una camera iperbarica
Negli ultimi anni, l’affinamento del vino in fondo al mare ha catturato l’attenzione di appassionati e produttori. Gli effetti del mare sul vino sono reali e percepibili. Il processo prevede l’immersione delle bottiglie di vino in profondità marine, generalmente tra i 30 e i 60 metri: scopriamo le origini, le dinamiche e i risultati di questa tecnica.
Tutto è iniziato nel 2010, quando un sommozzatore scoprì un relitto nelle profondità del Mar Baltico, nei pressi delle Isole Åland. Tra i resti della nave, naufragata nel 1840, furono trovate 168 bottiglie di Champagne, sorprendentemente ben conservate.
L’assenza di luce, la temperatura costante e la pressione marina avevano preservato le caratteristiche organolettiche del vino, suscitando l’interesse della comunità enologica. Questa scoperta è stata il catalizzatore per una serie di sperimentazioni che, in poco più di un decennio, hanno portato all’affinamento subacqueo come tecnica innovativa.
Il processo di affinamento in mare prevede l’immersione delle bottiglie di vino in profondità marine, generalmente tra i 30 e i 60 metri. Qui, le condizioni ambientali uniche – temperatura stabile intorno ai 13-14 °C, assenza di luce e pressione costante – creano un ambiente simile a una camera iperbarica.
Ogni 10 metri di profondità corrispondono a un’atmosfera di pressione, e a circa 50 metri si ottengono condizioni paragonabili a quelle di un metodo classico. Inoltre, il movimento delle correnti marine genera un dondolio continuo che influenza l’evoluzione del vino. Questo processo non aggiunge nuovi elementi al vino, ma ne modella le componenti, creando un equilibrio inedito tra le sue caratteristiche dure e morbide.
In Italia, l’affinamento subacqueo ha trovato precursori appassionati. Piero Lugano, della cantina Bisson a Chiavari, è stato tra i primi a sperimentare questa tecnica nel 2009, immergendo le sue bottiglie a 60 metri di profondità per necessità di spazio. Sulla costa adriatica, Gianluca Grilli ha scelto un fondale a 35 metri al largo di Ravenna, presso l’ex piattaforma Paguro, per affinare vini come Albana e Sangiovese.
A livello industriale, la Jamin Underwater Wines di Portofino si è affermata come leader globale, offrendo servizi di monitoraggio, carico e scarico per le cantine. Dal 2021 al 2023, il numero di bottiglie affinate in mare è passato da 100mila a 800mila, segno di un interesse crescente e di un mercato in espansione.
I vini affinati sott’acqua mostrano un’acidità più marcata, una freschezza maggiore e un’evoluzione più lenta rispetto a quelli affinati in cantina. I rossi tannici e vini con un grado alcolico superiore al 13% sembrano essere i più adatti a questo metodo, mentre i bianchi leggeri o il prosecco ottengono risultati meno convincenti.
Il processo di affinamento subacqueo è complesso e costoso. L’immersione e l’estrazione delle bottiglie richiedono attrezzature specializzate, ceste con sensori e l’uso di pontoni, per un costo che varia tra i 12 e i 16 euro a bottiglia. Per questo motivo, viene applicato principalmente a vini di alta gamma, in grado di giustificare il prezzo finale.
Quanto alla sostenibilità, sebbene si risparmi energia grazie alla climatizzazione naturale del mare, il trasporto e le operazioni sui fondali ridimensionano questa virtù. La tendenza futura sembra orientarsi verso cantine subacquee di prossimità, per ridurre l’impatto ambientale.
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