Nel 1983, nel cuore dell’Italia, nacque una novità che avrebbe cambiato il panorama vinicolo globale: la cooperativa agricola Caviro, con radici profonde a Faenza, introdusse Tavernello, il primo vino in brick al mondo, ovvero il primo vino imballato in cartone.
Questa iniziativa pose Tavernello come il vino più consumato in Italia e posizionò il Gruppo Caviro come una potenza nel settore vinicolo, esportandolo in oltre 80 paesi nel mondo.
Tavernello spegnerà 40 candeline a Forlì, città ospitante delle Cantine di Caviro e dove ci sarà una grande festa – Tavernello ForTy Party – giovedì 7 settembre dalle ore 19.00 presso lo stabilimento Caviro in via Zampeschi 117.
Questa celebrazione non sarà solamente una raccolta di amanti del vino, ma anche un’occasione per immergersi nel mondo di Tavernello: dalla visita guidata delle cantine alle degustazioni gastronomiche, ci saranno attività per tutti i gusti.
Ma, all’alba del suo quarantesimo compleanno, cosa ha spinto il vino in cartone al suo attuale status di popolarità? Anche se il 2020 ha visto un aumento delle vendite, dovuto in parte al lockdown, la percezione del vino in cartone ha affrontato numerose imprese, soprattutto in termini di popolarità e reputazione.
Spesso etichettato come vino economico e di bassa qualità, il vino in cartone sta ora attraversando un periodo di rinascita, in cui i produttori stanno lavorando sodo per dimostrare che il cartone può essere un contenitore di alta qualità.
Gli anni ’80 era l’epoca delle damigiane, delle bottiglie in vetro e dei pranzi tradizionali con un bicchiere di vino, come nelle vecchie osterie, dove si beveva vino in damigiana versato in un bicchiere di vetro, che poi era lo stesso dove si beveva l’acqua, tra una partita a carte e l’altra?
In questo periodo Tetra Pak, un’azienda svedese innovativa, vedeva un’opportunità nei suoi cartoni e iniziò a sperimentare proprio con il vino. Questo ha inequivocabilmente segnato l’inizio di una nuova era per il vino in cartone.
Ad oggi le bottiglie di vetro da 75 cl dominano, ma il vino in cartone detiene un significativo 30% del mercato e tra queste opzioni Tavernello emerge come leader, rappresentando da solo il 30% delle vendite in cartone.
Questo brand, rappresentativo dell’azienda Caviro, vanta origini che risalgono al 1983 e da allora ha rappresentato la spina dorsale dell’industria vinicola italiana, diventando un simbolo indiscusso del vino italiano.
In 40 anni Tavernello ha consolidato la reputazione di Caviro e questa azienda ha dimostrato una crescita impressionante, con 12mila viticoltori affiliati e una vasta estensione di vigneti che copre 36mila ettari. Questo enorme patrimonio si traduce in 27 cantine e una squadra di 50 esperti enologi che supervisionano la produzione.
Qui l’export ha giocato un ruolo cruciale nel successo di Caviro: il brand ha fatto la sua presenza sentita in oltre 80 paesi nel mondo, con fatturati elevati provenienti da nazioni come Gran Bretagna, USA, Svizzera, Germania e Francia.
Un altro aspetto fondamentale del successo di Caviro è Caviro Extra. Questa branca dell’azienda si concentra sulla trasformazione dei sottoprodotti vinicoli in una serie di prodotti utili, inclusi alcol, fertilizzanti ed energia.
Un altro capitolo interessante nella storia del vino riguarda il periodo del Proibizionismo negli Stati Uniti: quando il Proibizionismo divenne legge nel 1920, i viticoltori americani si trovarono di fronte a una scelta difficile.
Mentre alcuni optarono per la trasformazione dei loro vigneti in frutteti, altri cercarono soluzioni creative: nacque così il concetto di mattoni del vino – bricks significa proprio mattoni -.
Questi erano blocchi di succo d’uva concentrato, legalmente prodotti e venduti. Il consumatore poteva trasformare questi blocchi in vino fermentato seguendo istruzioni camuffate come avvertimenti.
Questo periodo di ingegnosità vide anche l’emergere di figure come Cesare Mondavi, che fondò una dinastia vinicola grazie al proibizionismo.
Il vino in brick o bag-in-box conserva le sue qualità per un periodo prolungato grazie alla sua confezione che impedisce il contatto con l’aria, evitando l’ossidazione.
Dopo l’apertura, la qualità del vino rimane inalterata per circa 4 settimane e inoltre, alcuni vini in brick (in particolare i bag-in-box) possono durare fino a tre mesi dopo l’apertura, grazie a diverse soluzioni innovative che permettono una conservazione più efficiente, ma anche alla particolare struttura della confezione, che evita l’ingresso e il passaggio dell’aria restringendosi ogni volta che il vino contenuto nel cartone viene versato.
I test di laboratorio mostrano vini di qualità media con quantità di anidride solforosa nei limiti legali, ma considerati elevati per alcuni standard.
Il grado alcolico e la quantità di zuccheri sono coerenti con le dichiarazioni: i vini sono prevalentemente secchi con alcune eccezioni leggermente dolci. Benché rispettino la normativa sull’acidità, ci sono vini in brick che hanno solfiti ritenuti eccessivi, mentre altri si distinguono per bassi livelli di conservanti.
Sorprendentemente, nonostante le critiche tecniche, questi vini sono apprezzati a livello sensoriale, rientrando in una fascia di buona qualità per il loro prezzo. Basti considerare che in alcune degustazioni al buio di vini in brick, non molti hanno saputo differenziare un vino in bottiglia da uno in cartone.
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