Anche un piatto verace e schietto come la pastasciutta al pomodoro ha diritto al suo calice di vino a tavola.
Nel piatto pasta di grano duro, salsa di pomodoro, basilico, un pizzico di sale e un filo d’olio. Una preparazione spesso veloce se si ha la salsa pronta d’inverno; dai ritmi più lenti invece se si hanno i pomodori intonsi e maturi d’estate.
C’è da accompagnare principalmente quella che gli addetti ai lavori chiamano “tendenza dolce” del piatto, in questo particolare caso data dalla pasta e dal pomodoro, e il contributo acido della salsa. Nulla di più, se non quella presa di sale nell’acqua di cottura della pasta e quel pizzico nel condimento (e il filo d’olio con uno spicchio d’aglio a sfrigolare).
Qualunque siano il formato di pasta e la tipologia di pomodoro – argomenti campanilistici ed enciclopedici nel Bel Paese – siamo a caccia di un vino semplice, schietto e fruttato, di struttura leggera, di contenuto grado alcolico, più sapido che acido, anzi meglio se di bassissima acidità, privo di tannini. Il bevitore comune davanti a un’affermazione del genere si ferma e sceglie l’acqua. Proviamo a spiegarci.
Se non avete certezze personali, un enotecario di cui vi fidate o il numero di telefono pronto all’uso di un vostro amico fraterno che nella vita fa il sommelier, basta seguire alcune semplici indicazioni.
Se dovete scegliere tra un vino bianco e un vino rosso, scegliete il rosso, strutturalmente (e mediamente) meno acido del bianco, e a noi non serve acidità nel vino per l’abbinamento con la pasta al pomodoro.
Tra i vini rossi scegliete un vino d’annata, ossia quello dell’ultima vendemmia.
Tra i vini rossi d’annata scegliete preferibilmente quello con la gradazione alcolica più bassa.
Con un piccolo sforzo di memoria provate a escludere vini da vitigni a bacca rossa che si presentano tannici o abbastanza tannici anche se vinificati come vino d’annata o in acciaio, e quindi no a nebbiolo, sagrantino, aglianico (a noi non servono tannino e struttura) e no anche a vini che hanno un carattere spiccatamente acido come il sangiovese (quindi niente Chianti d’annata a pochi euro del supermercato!) o come la barbera.
Se vivete al nord provate a cercare vini a denominazione Valpolicella – non Superiore e non Ripasso – oppure vini a base merlot prodotti dalle affidabili cantine cooperative alto atesine sotto la denominazione Alto Adige (o Südtirol) o dalle molte denominazioni del Friuli Venezia Giulia. In Piemonte puntate sul Dolcetto d’Alba mentre nella vicina Liguria sull’Ormeasco di Pornassio (parente stretto del dolcetto).
Nel centro sud apriamo il nostro portafoglio per pochi euro e ben spesi per il Montepulciano d’Abruzzo o per il Nero d’Avola, sempre tenendo conto di alcol in etichetta e annata.
L’abbinamento in Campania con gli spaghetti ca’ pummarola ncoppa è da farsi con vini a base piedirosso. Andate a colpo sicuro tra le denominazioni Sannio, Campi Flegrei e Vesuvio.
In Campania c’è chi ha fatto dei profumi e dell’essenzialità degli spaghetti al pomodoro un piatto cult della sua cucina: lo chef Peppe Guida con la sua “devozione”. Il piatto si chiama proprio così e l’abbinamento territoriale con un buon piedirosso è imprescindibile.
In tutti i casi, occhio alla temperatura di servizio: meglio se fresco di frigo. Fresco, non freddissimo.
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