Un passato ricco di storia e un presente di grande successo. È ciò che sa unire il vino in anfora, prodotto oggigiorno di moda, ma che nella sua carta d’identità racchiude anche un percorso lungo e unico nel suo genere.
La vinificazione in argilla si basa, infatti, su una tradizione vinicola millenaria, con il vino in anfora che sembra trovare la sua origine in quella terra al confine tra Europa e Asia che tutti oggi ci siamo abituati a chiamare Georgia.
È qui che questo tipo di vino si è sviluppato nel corso dei secoli, affermandosi come uno dei fiori all’occhiello di uno Stato che per lungo tempo è rimasto sotto la dominazione sovietica, ma che – anche grazie al vino – è riuscito a costruirsi una propria identità.
Vino in anfora, di cosa si tratta?
Quando si parla del processo di vinificazione, una delle prime immagini che viene subito in mente è quella di una cantina piena di grosse botti di legno, all’interno delle quali il vino prodotto nei vigneti viene lasciato invecchiare per anni, così che possa sviluppare tutte le varie caratteristiche che lo contraddistinguono prima di essere estratto e bevuto.
Questo, però, è solo uno dei metodi di vinificazione esistenti. Forse il più comune, ma di certo non l’unico.
C’è, infatti, chi il vino lo fa invecchiare in botti di cemento e chi in strutture d’acciaio, ma c’è anche chi come strumento principale nel corso del processo di vinificazione utilizza la terracotta. O meglio, delle anfore.
Ne sono un perfetto esempio i produttori di vino della Georgia, terra in cui il vino in anfora sembra proprio essere nato in un periodo storico solitamente indicato come corrispondente al 6.000 a.C.
Con ogni probabilità, a ospitare la prima vinificazione di sempre furono proprio i vasi caucasici, ovvero le Kvevri (o Qvevri), delle anfore in terracotta della tradizione Kakhetiana e Imeretiana.
Si tratta di grossi vasi d’argilla al cui interno vengono versati fino a 1.000 litri di vino e che dal 2013 sono diventati Patrimonio dell’UNESCO.
Lo strumento necessario per produrre il vino in anfora e la cui produzione resta ancora oggi una vera e propria arte tramandata di generazione in generazione e custodita da poche famiglie georgiane.
Creare le anfore nelle quali viene fatto invecchiare il vino richiede, infatti, grande conoscenza del territorio e delle tecniche utili a produrre vasi in terracotta.
Prima di tutto, fondamentale è conoscere il luogo in cui prelevare l’argilla più fine, così come i metodi per purificarla e stagionarla, necessari per renderla adatta alla lavorazione.
Successivamente, il processo di produzione delle Kvevri (o Qvevri) viene realizzato attraverso la tecnica del colombino, ovvero formando dei salsicciotti di argilla, i quali vengono poi sovrapposti gli uni sugli altri e sagomati, così da creare un’anfora.
Cotti a una temperatura di oltre 950°C in forni murati con mattoni scaldati a fuoco a legna, vengono poi ricoperti di cera, con lo scopo di ottenere una vetrificazione e un’impermeabilizzazione perfetta. Un processo che, nella sua totalità, può durare anche una settimana.
Le anfore georgiane vengono poi interrate fino al collo e al loro interno viene versato il vino che si desidera far invecchiare e affinare, il quale può essere anche protetto da una chiusura ermetica ed esposto a una temperatura stabile. Naturale.
Un’arte vinicola antichissima e che in Georgia ha rischiato di scomparire negli anni in cui a dominare questa terra era l’Unione Sovietica.
A salvarla è stato il lavoro compiuto da alcune famiglie contadine, le quali sono riuscite a nascondere queste anfore sottoterra.
Solitamente questi vasi di argilla vengono posti a due o tre metri di profondità, così da permettere un minor passaggio di ossigeno e un miglior controllo della temperatura.
Per questo, ancora oggi, in Georgia esistono delle Kvevri (o Qvevri) che possiedono più di 250 anni di vita.
Ma perché questa tecnica era così utilizzata e come mai oggi è tornata fortemente di moda?
Andiamo per ordine.
L’argilla, così come l’acciaio, è un materiale neutro e quindi perfetto per non cedere sostanze aromatiche al vino che viene affinato all’interno delle anfore.
L’identità della materia prima può quindi essere mantenuta intatta, senza essere intaccata da un apporto organolettico esterno.
Il gusto del vino affinato in anfora non viene, dunque, “contaminato” dal recipiente, come accade invece con le botti di legno, le quali rilasciano i propri aromi al vino (discorso leggermente diverso per i vini affinati in anfore di terracotta giovani, in cui la cessione aromatica si traduce in lievi sfumature terrose, ndr).
L’anfora con il legno condivide, invece, la porosità, la quale dipende direttamente dall’impasto di argilla utilizzato e dalla sua temperatura di lavorazione.
Per intenderci, minore è il grado di cottura, maggiore sarà la capacità di scambiare ossigeno con l’esterno, permettendo così al vino di arricchirsi di colore e gusto.
Ceramica e gres riducono quasi a zero lo scambio di ossigenazione con l’esterno, mentre la terracotta può permettere una micro-ossigenazione a volte perfino maggiore rispetto a quella permessa da una botte in legno.
Così come accade nei contenitori di cemento, le anfore permettono di mantenere una temperatura costante, evitando al vino di subire sbalzi improvvisi.
L’affinamento del vino in anfora permette quindi di ottenere un prodotto finale che possa mantenere le stesse caratteristiche iniziali.
La cantina cede il passo al vigneto, il vero luogo in cui si definisce il gusto del vino in anfora.
Una tecnica che, come detto, si è sviluppata in Georgia, ma che poi è diventata di moda anche in altri Paesi europei.
Gran parte del merito deve essere dato a Josko Gravner, produttore vinicolo che ha reso questo antico metodo di vinificazione molto popolare anche oltre i confini del Caucaso.
Oltre alle già citate Kvevri (o Qvrevri), oggi in Turchia non è difficile trovare le Kups, in Spagna le Tinajas e in Italia le anfore in terracotta della zona di Impruneta e i Clayver in gres porcellanato.
Tutti vasi diversi tra loro per stile e produzione, ma che vengono impiegati in egual modo per l’affinamento del vino.
Alcuni esempi di vino in anfora
I vini in anfora sono tra i più apprezzati poiché riescono a unire passato e presente, permettendo a chi li beve di consumare del vino che si potrebbe definire il più puro possibile.
Come spiegato in precedenza, il contenitore nella fase di affinamento non va a intaccare o modificare quello che è il gusto del vino prodotto nel vigneto, dando ancora maggior valore al lavoro nei campi e alla cura del terreno in cui viene cresciuta l’uva.
È possibile così godere di ottimi vini come il Vino Bianco Macerato “Rukh” 2020 – Nove Lune, il Cerasuolo d’Abruzzo DOC “Anfora” 2020 – Cirelli, l’Umbria Trebbiano IGT “L’Altrobianco” 2021 – Roccafiore, il Vino Bianco “Zino” – I Mandorli o l’Aglianico del Vulture DOC “Titolo by Amphora” 2019 – Elena Fucci.
Chi volesse provare un vino in anfora potrebbe optare anche per un Vino Bianco Frizzante “Sussulto” – Tenuta Forcirola o un Colli della Toscana Centrale IGT “Fonte Domini” 2016 – Tenuta La Novella, oltre che per un Vino Rosato Frizzante “Retrò” – Tenuta Forcirola e un Chianti Classico Riserva DOCG “Piano del Sarti” 2017 – Tenuta La Novella.
Altri vini in anfora da apprezzare sono il Vino Tinto Bobal “Got” 2019 – Bodegas Gratias, il Toscana Rosso IGT “Lumeo” 2019 – Azienda Agricola Toscani e il Napa Valley “Bryant Family Vineyard Cabernet Sauvignon” 2016 – Bryant Estate, un vino da 950 euro.
Tutti vini da degustare in compagnia.