Oltre la metà dei volumi di vino italiano esportati in America sono commercializzate dalle cantine cooperative che confermano la loro leadership nelle esportazioni di vino sul mercato statunitense.
Da un’analisi interna realizzata in occasione di Vinitaly 2023 dall’Alleanza cooperative Agroalimentari sulle principali associate è emerso che la crescita delle vendite di vino negli Stati Uniti è ancora trainata dalle bollicine, che si confermano in cima alle preferenze di consumo degli americani.
“Gli americani sono storicamente grandi importatori di vini italiani e le bollicine sono da sempre in cima alle loro preferenze – commenta il Coordinatore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari Luca Rigotti – tuttavia i consumatori americani stanno sempre più apprezzando tipologie di vino a bassa gradazione alcolica o vegan friendly.
Con 1,860 miliardi di euro di ricavi registrati nel 2022 (Ismea), l’export dei vini italiani negli Usa si consolida come la voce più importante delle vendite oltreconfine del vino italiano, con una quota che supera il 23%.
“Gli Stati Uniti importano vino per 7 miliardi di dollari, pari a ciò che l’Italia esporta in tutto il mondo. Fortunatamente l’impatto dei costi di produzione e delle spedizioni si sta attualmente ridimensionando” conclude Rigotti.
Alle tre centrali di Alleanza cooperative aderiscono 379 cantine con oltre 110mila soci, una produzione pari al 58% del vino italiano, il 40% del totale del fatturato del vino nazionale.
Il fatturato aggregato derivante dall’export delle cantine cooperative è pari a 2 miliardi di euro, pari a circa un terzo di tutto il vino italiano commercializzato all’estero.
Nel 2010, in volume, l’esportazione di vini italiani verso gli Stati Uniti, secondo i dati dell’Osservatorio del Vino di Unione Italiana Vini-Uiv, Vinitaly e Ismea su dati Istat, era fatta al 49% da vini bianchi, al 42% da rossi e solo al 9% dalle bollicine.
Nel 2022 il mix, invece, ha visto primeggiare ancora i bianchi, ma solo con il 36% del totale, con gli spumanti ormai al 34% e i rossi al 28%, mentre i rosati sono passati al 2%.
Sullo sfondo ci sono le nuove generazioni, soprattutto la Gen Z, che consuma vino ma che rappresenta solo il 4% dei regular wine drinkers che, per il 47% sono ancora i Boomers.
Tra i trend c’è la grande crescita del DTC – direct-to-consumer – che avvantaggia sia i consumatori che le aziende, visto che il valore aggiunto non si disperde nei vari passaggi della distribuzione e che però, è appannaggio quasi esclusivo dei vini americani, che rappresentano comunque oltre il 70% del mercato.
“Il vino italiano negli USA non deve indugiare su dettagli del prodotto o delle denominazioni, ma parlare ai consumatori in modo più diretto, empatico: deve saper anticipare l’experience – afferma il presidente degli importatori wine & beverage Usa della Nabi-National Association of Beverage Importers, Robert Tobiassen – Ed è importante non solo utilizzare un linguaggio immediato, ma anche trovare i giusti canali di dialogo con il grande pubblico. Nel presentarsi al pubblico americano il produttore italiano deve soprattutto saper identificare il valore aggiunto del suo prodotto in termini di piacere e gusto: qual è l’enhancement, l’arricchimento che il calice del suo vino dà all’esperienza”.
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