Nato nel 2014 grazie a un’organizzazione no-profit inglese, il Veganuary è diventato un movimento globale che incoraggia le persone ad adottare uno stile di vita vegano nel mese di gennaio. L’obiettivo è sensibilizzare la gente su un’alimentazione priva di derivati animali. Anche il vino può essere vegano, sebbene sembra che non ci sia carne di alcun tipo fra produzione e imbottigliamento.
Il vino non rientra totalmente nella categoria cosiddetta “cruelty free”, cioè priva di sofferenza animale, perché esistono elementi che intervengono nel processo produttivo che sono incompatibili con lo stile vegano. Dato che è prodotto dell’uva si potrebbe infatti supporre che risponda perfettamente ai requisiti, ma bisogna tener conto delle pratiche agronomiche e del processo produttivo in senso più ampio.
In un sistema di conduzione biologico, per esempio, potrebbero essere usati concimi non esclusivamente vegetali come il letame, o prodotti di derivazione animale come la propoli. Stesso discorso per le sostanze nell’ambito del processo di produzione del vino: un esempio sono le fasi di chiarificazione e stabilizzazione che servono a garantire la limpidezza del vino, che non sempre possono essere portate a termine attraverso le tecnologie di filtrazione e microfiltrazione.
Per eliminare le minuscole particelle di sedimento in sospensione nel vino vengono spesso utilizzati delle sostanze come l’albumina (bianchi d’uovo), la caseina (una proteina presente nel latte), le gelatine di origine animale e la colla di pesce, tutti agenti non indicati tra gli ingredienti in etichetta perché considerati coadiuvanti tecnologici.
Tornando a un sistema di produzione vegano e “cruelty free”, si possono usare alternative quali ad esempio le proteine vegetali derivanti da patate, piselli e frumento, o gli estratti di origine fossile come la bentonite, una particolare polvere di roccia di origine vulcanica. Da ultimo si deve considerare anche il packaging, che per essere approvato deve essere estraneo a sostanze animali potendo contenere ad esempio caseina nelle guarnizioni, lanolina negli inchiostri e sego bovino nelle plastiche.
In generale, però, non esistono norme specifiche che consentono di definire un prodotto come vegano nel mondo vinicolo. Le aziende perciò si autocertificano o si rivolgono a organismi terzi. Un caso su tanti è la V Label dell’Unione Vegetariana Europea, logo introdotto nel 1996 e registrato in oltre 70 Paesi al mondo. Dopo una prima fase di compilazione di un questionario, si passa a una verifica dei documenti sui sistemi di produzione e infine viene rilasciato il marchio da stampare sulle etichette. Un altro standard è quello di “Vegan Ok”, che ha il sistema disciplinare più rigido perché è l’unico che verifica l’assenza di sostanze animali nel prodotto considerando anche il packaging e la stampa.
Tra i “vini vegan” da gustare in questo gennaio 2023 ci sono due versioni di Nero d’Avola delle cantine Santa Tresa e Azienda Agricola Cortese. Il primo si chiama “Insieme”, il secondo “Nostru Nero”: entrambi sono anche biologici e senza solfiti aggiunti. Per chi preferisce le bollicine ci sono il Brut Vegan di Quadra Franciacorta, azienda di Cologne (Brescia) e “Amets, il Prosecco Doc Treviso Brut Vegan” di Marzio Bruseghin. Per i bianchi, infine, esiste il Sauvignon Blanc vegan di Château Timberlay, direttamente dall’area viticola di Bordeaux.
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