Il Passito di Pantelleria è un vino che ha conquistato il palato di molti appassionati a livello internazionale, ma recentemente è stato al centro di polemiche riguardanti le pratiche di produzione. Le telecamere del programma di inchiesta “Report” hanno acceso i riflettori su questo vino, in particolare sul Ben Ryé della cantina Donnafugata, sollevando interrogativi sul metodo di appassimento delle uve. Secondo la trasmissione, le strutture utilizzate per l’appassimento potrebbero non rispettare i criteri tradizionali previsti dalla Doc Pantelleria. Ma cosa rende davvero unico il Passito di Pantelleria e quali sono le pratiche tradizionali di produzione?
Al centro della produzione del Passito di Pantelleria si trova il vitigno zibibbo, noto anche come moscato di Alessandria. Questo vitigno, con una storia che risale all’Ottocento, ha trovato la sua vera vocazione nella produzione di passito, un vino che esprime una complessità aromatica straordinaria.
La raccolta delle uve avviene manualmente a partire dalla prima metà di agosto, selezionando i grappoli più sani e maturi. Il processo di appassimento, cruciale per la qualità del vino, si svolge tradizionalmente su stenditoi, o stinnituri, che garantiscono una corretta circolazione dell’aria e un’adeguata esposizione al sole. Durante l’appassimento, che dura da 15 a 30 giorni, i grappoli vengono girati manualmente, consentendo una essiccazione uniforme e prevenendo fermentazioni indesiderate. Questo processo porta a una perdita di circa il 75% del peso delle uve, concentrando zuccheri e aromi.
Una volta completato l’appassimento, le uve passite vengono sgranate a mano e unite al mosto di uve fresche. La fermentazione dura dai 30 ai 60 giorni, seguita da un periodo di affinamento che varia a seconda della filosofia produttiva del produttore.
Il Passito di Pantelleria è regolamentato dalla Doc Pantelleria, istituita nel 1971, che stabilisce norme severe per garantire l’autenticità e la qualità del prodotto. Le uve zibibbo devono essere coltivate e vinificate esclusivamente sull’isola, e l’appassimento deve avvenire anch’esso a Pantelleria.
Il disciplinare prevede che l’appassimento possa avvenire “in tutto o in parte al sole”, ma non specifica chiaramente se l’uso di serre sia consentito, lasciando spazio a diverse interpretazioni. La pratica più comune prevede l’uso di stenditoi coperti da reti per proteggere le uve dalle intemperie, mentre nel caso della cantina Donnafugata, le strutture utilizzate sono più ampie e arieggiate, suscitando polemiche.
Un altro aspetto affascinante della viticoltura a Pantelleria è il sistema di coltivazione della vite ad alberello, riconosciuto nel 2014 dall’UNESCO come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Questo metodo unico si adatta perfettamente al difficile territorio dell’isola, dove le viti sono coltivate in conche scavate nel terreno, proteggendole dai forti venti e dalla salsedine. Il lavoro in vigna è interamente manuale, con una resa massima di 10 quintali per ettaro, notevolmente inferiore rispetto ad altre zone vinicole.
Infine, l’inchiesta di “Report” ha evidenziato la differenza tra il Passito di Pantelleria e il Pantelleria Passito Liquoroso. Il primo è ottenuto attraverso un appassimento naturale al sole e rappresenta l’apice della qualità, mentre il secondo può utilizzare metodi di appassimento che prevedono ambienti condizionati per accelerare il processo. Questa distinzione è fondamentale, poiché influisce sulla qualità del vino e sul suo prezzo finale, creando una differenza sostanziale tra i due prodotti.
In conclusione, il Passito di Pantelleria non è solo un vino, ma un simbolo di tradizione e autenticità, che merita di essere conosciuto e apprezzato per le sue caratteristiche uniche.
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