Fruttato, floreale e vegetale: il vino è da sempre un connubio di sfumature odorose, cromatiche e riferimenti, ma ai tempi dei Romani com’era il nettare degli dei bevuto nei banchetti e nelle taverne? E qual era il suo sapore?
Nella società romana il vino ha occupato sempre un posto di rilievo e un recente studio comparativo sul modello dei qvevri della Georgia offre una visione della vinificazione romana.
Il vino prodotto dagli antichi Romani era ben diverso da quello che troviamo oggigiorno sulle nostre tavole, poiché allora era molto più liquoroso perché veniva annacquato per non essere troppo forte.
Il vino veniva diluito con dell’acqua con un rapporto di due quantità di acqua e uno di vino, poiché quest’ultimo veniva consumato in occasioni speciali. Infatti era una bevanda conviviale che doveva mantenere il giusto livello di lucidità.
Durante il convivio, infatti, era buona usanza di intrattenere gli ospiti con chiacchiere e attività ludiche che non potevano essere compromesse da un offuscamento della mente.
Inoltre, bere il vino allo stato puro non era visto di buon occhio, perché considerato come un’azione sacrilega o persino barbara. Basti solo pensare che la donna non era ammessa alla mensa e veniva additata come adultera solo se avesse assaggiato il vino. All’interno del nucleo familiare, la suocera aveva il diritto di sentire se l’alito della propria nuora sapeva di vino. Il vino era considerato una bevanda ultraterrena il cui consumo non spettava al comune mortale e il vino puro, in particolare, era riservato alle divinità.
A quanto viene detto nello studio pubblicato sulla rivista Antiquity, probabilmente il vino che circolava nella società romana era aranciato e con note speziate e un team di archeologi ha provato a scoprire di più sulle caratteristiche del vino confrontando i dolia, grandi contenitori in terracotta, con i qvevri usati in Georgia per la produzione di vino.
“I testi dell’antica Roma e la ricerca archeologica forniscono preziose informazioni sulla viticoltura e sulla produzione, commercio e consumo del vino, ma si sa poco della natura sensoriale di questo prezioso bene” hanno osservato gli esperti.
Gli studiosi sono partiti proprio dai dolia perché è con questi che avveniva la vinificazione all’epica: si tratta di grandi recipienti rotondi dalla bocca ampia in cui il vino fermentava e riposava per l’invecchiamento.
Ad oggi le tecniche di vinificazione sono certamente cambiate, ma in area caucasica sopravvive l’antichissima tradizione dell’uso dei qvevri per ottenere il vino.
Proprio grazie a queste gigantesche anfore, patrimonio culturale dell’UNESCO, potrebbero fornire indicazioni sulle tecniche usate dai Romani. Si ipotizza infatti un “trasferimento millenario di cultivar e tecniche da est a ovest, forse portato in Italia attraverso contatti fenici ed etruschi”
Partiamo subito dal colore, il quale viene dato al vino dai polifenoli, concentrati prevalentemente sulla buccia degli acini e può variare nel tempo per l’ossidazione perché questi composti non sono stabili.
Dalle fonti antiche sappiamo che il colore dei vini bianchi era piuttosto carico, ciò avviene esattamente con i vini prodotti nei qvevri sottoposti a lunga macerazione.
Dato che il mosto veniva messo a macerare con le bucce per una maggiore estrazione dei polifenoli, il vino bianco acquisiva toni aranciati, ciò che attualmente accade per la produzione degli orange wines o vini macerati.
Quando al sapore, gli archeologici credono anche i Romani sottoponessero il vino a ossidazione controllata conferendogli sapori erbacei e note di frutta secca e spezie.
I dolia, proprio come i qvevri, erano interrati per garantire alla soluzione una temperatura costante, dove, grazie anche al materiale poroso, veniva favorita la formazione dei lieviti naturali chiamati flor.
“Non c’è dubbio che, proprio come nel caso dei qvevri, i vini antichi conservati nei dolia erano regolarmente sottoposti a lieviti flor. Questi lieviti superficiali producono diversi composti chimici, tra cui acetaldeide e acetoino, ma in particolare il sotolon, che è responsabile del gusto leggermente piccante dei vini flor” scrivono gli esperti. Il vino dei Romani aveva, quindi, con probabilità note di spezie come il curry, ma anche aroma di pane.
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