I ricarichi del vino applicati nella ristorazione in Italia seguono aumenti senza regole o hanno una logica?
Il comparto vitivinicolo italiano riveste un ruolo importante a livello territoriale e il fenomeno dei ricarichi nella ristorazione non può passare inosservato.
Sicuramente l’incremento dei costi vivi degli ultimi anni, energia elettrica in primis, hanno influito sui ricarichi applicati nella ristorazione, ma fino a che punto?
Non dimentichiamo anche che il prezzo del vino può avere delle oscillazioni importanti da un’annata all’altra anche per una stessa marca, poiché i vigneti risentono particolarmente del clima e, ormai, non sono rari i casi dove si assiste alla diminuzione della produzione, se non addirittura alla perdita totale del raccolto.
Alla luce di questo panorama è vero che l’Italia si sta allineando ai ricarichi applicati in Paesi come Cina, Giappone ed Emirati Arabi dove però incidono i costi dei dazi doganali?
Il ricarico del vino al ristorante nell’alta ristorazione
Per capire meglio quali strategie applica la ristorazione nella politica dei ricarichi e le dinamiche del mercato, parleremo di un ristorante stellato, un ristorante di media fascia e un’enoteca che vende solo bottiglie senza servizio di mescita al banco.
Abbiamo scoperto che parlare di ricarichi dei vini nell’alta ristorazione è un argomento molto delicato che richiede anche un’analisi attenta di vari fattori.
Bisogna fare anche dei distinguo poiché sui ricarichi influiscono logiche complesse di accordi e relazioni per cui ogni realtà è a sé. Nel costruire la carta dei vini c’è una differenza da ristorante a ristorante correlata a fattori come: categoria, target e localizzazione.
Nell’alta ristorazione lo stoccaggio delle bottiglie richiede costi che cambiano da struttura a struttura, soprattutto quando esiste una vera cantina come spazio fisico.
Bisogna poi considerare l’investimento per la protezione delle bottiglie da luce, calore, umidità. I costi che vanno dalla stampa della carta dei vini alla figura del sommelier che, a certi livelli, deve anche guidare gli acquisti.
C’è poi l’investimento per la cristalleria correlata ai vini presenti sulla carta e al livello del ristorante: dunque ogni aspetto e dettaglio deve essere adeguato alla struttura e deve essere all’altezza del menù e della carta dei vini.
Alla luce di questi elementi parlare dei prezzi del vino riportati sulla carta del menù facendo riferimento solo a un fattore moltiplicatore rispetto all’acquisto, per alcune realtà potrebbe essere riduttivo, perché il criterio utilizzato in un ristorante di alta fascia o in uno stellato è qualcosa di più complesso.
C’è poi il delicato meccanismo di quella che viene definita “assegnazione”: si tratta di un modello seguito in Italia da alcune delle etichette più ambite, alla stregua di come fanno i grandi vini Chateau francesi della Borgogna.
I produttori di questi vini vogliono essere sicuri che non ci siano speculazioni o che vengano venduti a prezzi ridotti, con il rischio di svilirne l’immagine.
L’assegnazione riguarda etichette pregiate e avviene con la vendita di una piccola quantità di bottiglie (da tre a cinque) a realtà altamente solvibili non solo in termini economici ma anche di fidelizzazione.
Una delle regole prevede che la bottiglia sia consumata all’interno del locale e non può essere rivenduta. Il prezzo è a discrezione del ristoratore.
Il ristorante di livello tiene sempre in considerazione i prezzi di mercato, si allinea ai competitor e, soprattutto, pone molta attenzione al consumatore.
L’obiettivo non è dare solo un servizio di qualità ma, come in tutte le attività commerciali, vendere e avere un ricavo. Se un vino viene venduto poco si analizza la motivazione e si lavora per ottenere un risultato diverso.
I ristoranti di fascia media e il vino nelle enoteche
Il meccanismo segue altre regole per i ristoranti di media fascia, dove ancora oggi viene applicato il moltiplicatore per cui viene triplicato il costo di acquisto per i vini di media qualità.
Per quelli di alta fascia il prezzo raddoppia, per non rendere proibitivo il costo al consumatore, mentre solo in pochissimi casi viene applicato un aumento pari a due volte e mezzo.
Le dinamiche dei rincari sono ancora legate ai canali di rifornimento: per le etichette il cui consumo è limitato, diversi ristoranti si riforniscono da grossisti come Metro, mentre quando l’ordine è più importante si fa riferimento ai distributori.
Poi ci sono le etichette di piccole aziende selezionate appositamente perché questo permette di inserire nella carta un prodotto di qualità poco conosciuto. Il rapporto con queste cantine di solito è diretto, senza costi di mediazione, e questo permette di triplicare il prezzo.
Per quanto riguarda le enoteche storiche che non effettuano il servizio di mescita, il ricarico è sempre lo stesso: il 40% più Iva e negli anni, se non nei decenni, non è variato.
La percentuale che l’enoteca applica sia per le etichette del territorio sia per quelle internazionali non cambia, a meno che non si parli di bottiglie molto ricercate il cui prezzo viene comunque allineato a quello di mercato. In questi casi le cantine non impongono un tetto minimo e/o massimo per la vendita dei loro prodotti.
Bisogna considerare che le enoteche storiche che fanno solo vendita sono rimaste poche e, proprio perché non fanno mescita, hanno come focus quello di consigliare il cliente e far conoscere anche nuove etichette, aspetto molto importante soprattutto per le realtà con bottiglie settoriali di qualità (vedasi il biologico).
Una nota interessa è che il volume delle vendite in enoteca non è diminuito negli ultimi anni, ma è cambiata la dinamica di acquisto: si è assistito a una diminuzione del numero di bottiglie comprate e a un aumento della clientela, con una percentuale maggiore di donne e di ventenni.
Questa è la tendenza emersa anche da una ricerca condotta dall’osservatorio Wine Monitor di Nomisma nel mese di ottobre 2023: la ricerca rileva come gli under 25 siano i consumatori maggiormente attenti alla sostenibilità dei prodotti, fenomeno che riguarda anche il vino, e prestino maggiore attenzione agli aspetti salutistici, con un forte interesse verso i no e low alcohol wines.
Secondo l’osservatorio solo il 24% consuma vino in locali e ristoranti, il restante 76% lo consuma tra le mura domestiche. Il quadro che emerge è forse il tema più importante da sottolineare e riguarda la costante riduzione dei consumi di vino, un tema non solo italiano ma mondiale i cui motivi sono da ricercare nella congiuntura economica ma non solo.