Il famoso detto Nella botte piccola c’è il vino buono è un’espressione popolare usata per esprimere il concetto che, spesso, ciò che è piccolo di statura o di dimensioni può contenere qualità sorprendenti e apprezzabili.
L’espressione popolare fa riferimento a un significato simbolico più ampio, ma come accade spesso nasconde un fondo di verità. Scopriamolo insieme
I produttori di vino utilizzano botti di diverse dimensioni per l’invecchiamento del vino, e ognuna di esse ha un diverso impatto sul risultato finale.
Le botti più piccole, come la barrique, permettono un contatto più intenso tra il vino e il legno, infondendo al vino una gamma di sapori e aromi che arricchiscono il suo bouquet.
Questo non significa necessariamente che il vino invecchiato in botti piccole sia migliore: in questo senso la questione è piuttosto soggettiva e dipende dai gusti personali del bevitore.
Però è vero che alcuni tra i vini più pregiati del nostro Paese prevedono la maturazione in “botti piccole”, per l’appunto le barriques.
La barrique è un piccolo recipiente in legno, con una capacità tipicamente compresa tra 225 e 228 litri, originariamente rappresentava un’unità di misura francese del volume, equivalentemente a circa 225 litri. Il nome non tradisce: barrique è una parola francese che porta il segno di un primato.
La botte è uno strumento che risale all’antichità, utilizzato per produrre, conservare e trasportare il vino. Prima dell’uso delle botti, soprattutto durante l’Impero Romano, erano le anfore (oggi tornate in voga) a essere utilizzate.
Questi contenitori, molto più fragili, potevano essere trasportati solo grazie a efficienti e diffuse vie di comunicazione.
Da qui la botte in legno è diventata il recipiente principale per il trasporto e la conservazione di vini e vari cibi. Era anche molto conveniente per il trasporto via mare perché permetteva dimensioni molto più grandi (in questo caso le botti grandi, o tonneaux).
In quel periodo, il vino nel legno era una pratica associata solo al trasporto e non all’affinamento. Ma una volta compresi gli effetti dei tannini antiossidanti nell’affinamento dei vini, ci si è resi conto dell’importanza delle caratteristiche organolettiche del legno e del suo minimo impatto positivo sulle note amare che venivano mitigate.
Arriviamo così al presente, dove l’uso delle barrique è sempre più comune e il suo utilizzo è sempre più sostenuto da studi scientifici approfonditi.
Ciò che distingue la barrique dalle altre botti è il materiale, le caratteristiche che lo compongono e la sua lavorazione: tecniche in continua evoluzione grazie al lavoro svolto e perfezionato da generazioni di bottai e viticoltori.
La barrique tende a dare al vino particolare aroma morbido, speziato e affumicato ma la quantità, la tipologia e la qualità di questi aromi “di legno” possono variare sia rispetto al legno scelto, che alla lavorazione dello stesso e – ovviamente – alla tipologia del vino che in esse viene affinato.
Una barrique, generalmente, può essere costruita in rovere, cioè in legno di quercia, americana, francese o croata (Slavonia). La prima dà al vino potenti aromi speziati, la seconda può consegnare un tocco leggermente vanigliato, un aroma delicato che può arricchire il ventaglio organolettico del prodotto finito.
Durante la fase di montaggio della barrique viene eseguita la tostatura delle doghe dall’interno attraverso la fiamma viva. Anche la tostatura può essere effettuata a vari livelli che danno risultati differenti sul prodotto. Questo processo scatena una sequenza di reazioni chimico-fisiche che vanno ad influire sulle qualità organolettiche del vino.
Ma non solo: le barrique possono essere utilizzate più volte e il numero dei passaggi – cioè se si tratta di una botte nuova o vecchia – può determinare la quantità e la tipologia di aromi rilasciati nel vino.
Questi “dosaggi” dipendono moltissimo dallo stile della cantina, dal tempo che il vino permane nella barrique e dalla mano dell’enologo e del personale e da moltissimi altri soggetti che partecipano attivamente nei processi di trasformazione del prodotto, dal mosto al vino. Una serie di “esperimenti” che si fanno sempre in cantina e che tendono a raggiungere il risultato organolettico ideale, cioè quello atteso dall’enologo.
Quindi il vino buono è nella barrique se, e solo se, l’intero processo riesce a valorizzare i mosti che si lasciano maturare (o affinare) nelle botti piccole. Il vino è un prodotto dell’uomo: quindi può cambiare in base al “trattamento” ricevuto.
Capita di frequente di imbattersi in vini rossi barricati, che per il loro corpo si prestano bene a questo tipo di affinamento. L’invecchiamento in barrique però si può adattare – anche se in misura minore – anche ad alcuni vini bianchi.
L’importante è che il vitigno impiegato sia adatto all’impatto con il legno, quindi ricco di polifenoli e con un importante corredo estrattivo. Se invece al contrario l’uva di partenza non ha abbastanza struttura potrebbe essere eccessivamente contaminata dal legno, perdendo le caratteristiche varietali del vino che si vuol produrre.
Uno dei motivi principali è l’ossigenazione che, nella botte piccola, avviene più intensamente: l’ossigeno è responsabile della maturazione del vino e penetra attraverso le doghe lentamente, favorendo così la polimerizzazione dei tannini, cioè un processo che li rende meno astringenti, meno aggressivi e più morbidi e fini.
In sostanza la magia c’è, ma avviene solo se il mago – cioè il vino – è all’altezza, e i trucchi – cioè gli interventi enologici – sono ben studiati!
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