L’uva dei Bizantini: ecco come veniva fatto il vino 1500 anni fa

Nel corso di uno scavo archeologico nel sud di Israele sono tornate alla luce un’antica azienda vinicola e due varietà di uva dal glorioso passato.

Un’azienda vinicola in forte espansione risalente a più di 1.500 anni fa. È quanto hanno scoperto gli archeologi impegnati in una campagna di scavi nel deserto del Negev, nel sud di Israele. Sono state trovate – e sottoposte ad analisi genetica – due antiche varietà di uva da vino che crescevano rigogliose nel clima caldo e secco di quella regione. E ora le giovani leve dell’industria vinicola israeliana sperano di utilizzare quelle stesse uve per produrre vini con un legame speciale con l’antica storia della loro terra.

Come riporta l’autorevole Wine Spectator, il Prof. Guy Bar-Oz, bioarcheologo presso la Scuola di Archeologia e Culture Marittime dell’Università di Haifa, ha iniziato a scavare in quella regione nel 2015, e nel sito archeologico di Avdat nel 2018. Il suo obiettivo era scoprire perché le persone che vivevano lì 1.500 anni fa a un certo punto abbandonarono la regione. I suoi primi scavi si concentrarono sugli antichi cumuli di spazzatura. Il professore e i suoi colleghi rimasero sorpresi dalla quantità di vinaccioli dissotterrati.

Il mistero del vino bizantino

L’antica città di Avdat (Abdah in arabo) era un importante centro tra Petra e Gaza, parte di una rotta commerciale per le spezie e di una regione che ha forti legami con il nostro passato vinicolo collettivo. L’entroterra di Gaza era usato prevalentemente a scopo agricolo e i viticoltori del tempo ebbero accesso alle rotte commerciali dell’impero e dei regni in quella che oggi è l’Europa occidentale. E non dimentichiamo che Gerusalemme era una popolare destinazione di pellegrinaggio, che attirava visitatori da ogni dove. In altre parole, era un buon mercato per il vino.

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Negli ultimi decenni il Negev è diventato un posto alla moda per la coltivazione di vigneti, ma con vitigni internazionali come il Cabernet Sauvignon. (Vinamundi.it)

Le prove della produzione vinicola commerciale in loco sono convincenti. Gli archeologi hanno scoperto grandi torchi per il vino, resti di uva pigiata, colombaie per fornire guano per fertilizzare le viti, tracce dei sistemi di irrigazione, insomma tutto ciò che è necessario per una prospera viticoltura. “Non avevano abbastanza acqua, quindi costruirono sistemi idrici per raccoglierne durante l’inverno”, ha spiegato il dottor Meirav Meiri del Museo Steinhardt di Tel Aviv, che ha collaborato alla ricerca. “Da questi siti possiamo desumere che le persone del posto sapevano come trarre vantaggio da ciò che avevano per una vita prospera”.

I ricercatori hanno deciso che bisognava di saperne di più sui resti d’uva rinvenuti. “Volevamo scoprire quali varietà coltivavano”, ha detto Meiri. “Le avevano importate da qualche altra parte dell’impero bizantino o dell’Europa, o erano varietà locali?”. Negli ultimi decenni il Negev è diventato un posto alla moda per la coltivazione di vigneti, ma con vitigni internazionali come il Cabernet Sauvignon. Le varietà antiche sono andate perdute.

Il team archeologico ha raccolto vinaccioli da tre siti e ha utilizzato il sequenziamento genomico con datazione al radiocarbonio per determinare il lignaggio dell’uva. Hanno anche sequenziato moderne coltivazioni indigene e uva selvatica raccolta in tutto Israele. E hanno scoperto che gli agricoltori bizantini coltivavano numerose uve geneticamente diverse. “Forse questa varietà era una strategia per la sicurezza alimentare”, ha detto Bar-Oz. Diverse varietà potrebbero essere state più resistenti alle malattie o alla siccità, maturare prima o dopo. “Se maturano tutte lo stesso giorno, è un problema portarle al torchio”.

Due varietà sono risultate di particolare interesse. A33, un parente diretto della moderna uva libanese Asswad Karech, nota anche come Syriki in Grecia. “È incredibile“, ha detto Meiri. “Ha molti nomi, ma è la stessa varietà, e sta ancora crescendo nella regione, ma non in Israele“. E A32, la più antica uva da vino bianca identificata finora. Alcuni pensano che possa esserci un collegamento con un leggendario vino bianco di Gaza. Ci sono riferimenti letterari in Europa, dal V e VI secolo, che esaltano la qualità di un vino bianco dolce, Vinum Gazum. Ma gli esperti non sanno con certezza da dove i mercanti di Gaza abbiano preso il loro vino. Avdat era sulla rotta commerciale per Gaza e il porto distava due giorni a piedi dai vigneti del Negev. Quantità significative di frammenti di anfore di Gaza sono state trovate nell’Europa occidentale e nelle isole britanniche. Ma dopo il sesto secolo, l’elisir di lusso è scomparso dai radar.

Le evidenze dimostrano che per due secoli i viticoltori della regione hanno goduto di un’economia in forte espansione. La ragione dell’improvviso crollo dell’industria del vino, un tempo fiorente, rimane un mistero. “Qualcosa è andato storto“, ha detto Bar-Oz. “Cosa è successo?”. Mistero. Ma presto potrebbe essere possibile degustare un autentico vino del Negev da uve antiche… e forse anche il leggendario vino bianco di Gaza. Una borsa di studio contribuirà a diffondere due antichi vitigni negli altopiani del Negev, portando così i vigneti bizantini al XXI secolo. I ricercatori hanno in programma di iniziare a piantare il vigneto a settembre.

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