Cosa si cela dietro a un semplice piatto? Qual è la sua storia e il suo significato all’interno di una società che ha spesso relegato le donne a ruoli subordinati? Queste sono alcune delle domande che la giornalista franco-tedesca Annabelle Hirsch si pone nel suo libro Il piatto. Una storia di donne, di appetiti e di emancipazione in un oggetto quotidiano (Corbaccio, 2025). Attraverso una narrazione che intreccia il cibo, l’arte e la lotta per i diritti femminili, Hirsch ci guida in un viaggio attraverso i secoli, mostrando come il piatto possa fungere da simbolo della subordinazione e della resistenza femminile.
Fin dall’infanzia, le donne sono educate a seguire modelli di comportamento che enfatizzano la raffinatezza e la discrezione, spesso a discapito del loro appetito. Hirsch riflette su come le donne adulte, educate a nascondere i propri desideri, non si sentano mai completamente libere di prendere ciò che vogliono a tavola. Questo tema ricorre in Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, dove la scrittrice descrive due banchetti:
La tavola femminile diventa così uno specchio di autocensura, dove il piacere di mangiare è sostituito da una sorta di dovere silenzioso.
La domanda che Hirsch pone è provocatoria: che forza si nasconde dietro quei piatti? La risposta è complessa. Il piatto diventa simbolo della subordinazione socioculturale della donna, rappresentando il posto che la società è disposta ad offrirle, ma anche quello che le donne stesse devono reclamare. Tra il Seicento e il Settecento, l’immagine della casalinga emerge come un ideale sociale, con la donna vista come “custode del focolare”, il cui principale compito è nutrire la propria famiglia. Medici e filosofi dell’epoca, come Denis Diderot, sostenevano che la vera essenza femminile fosse la mancanza di appetito, legittimando così la subordinazione delle donne ai bisogni degli altri.
Con il passare del tempo, l’educazione alimentare delle donne si è trasformata in un vero e proprio controllo sociale. L’idea che le donne dovessero mangiare poco e solo ciò che serviva per mantenere la famiglia ha portato a una situazione in cui, spesso, dopo aver cucinato per gli altri, le donne si limitavano a spizzicare gli avanzi. Questo stereotipo della donna che sacrifica il proprio piacere per il bene della famiglia è ancora presente nella nostra cultura, creando un circolo vizioso che perpetua l’immagine della casalinga.
Come possono le donne sottrarsi a questo controllo? Hirsch suggerisce che la risposta risieda nell’arte e nella creatività. Artiste come Vanessa Bell, sorella di Woolf, hanno cercato di rompere con questa tradizione. Nel 1932, Bell e il marito Duncan Grant crearono una serie di piatti in porcellana raffiguranti donne che non si erano fatte influenzare dai modelli sociali riguardo l’appetito. La loro opera, Famous Women Dinner Service, celebra la figura femminile come soggetto attivo e non più come oggetto di consumo.
Un altro esempio significativo è l’installazione The Dinner Party di Judy Chicago, presentata per la prima volta nel 1979 al Brooklyn Museum di New York. Quest’opera rappresenta una tavola triangolare con trentanove posti, ciascuno dedicato a donne straordinarie della storia, i cui piatti sono realizzati a forma di vulva. L’installazione invita a riflettere non solo sul ruolo delle donne nella storia, ma anche sulla loro capacità di reclamare il diritto al piacere e alla propria identità.
La battaglia delle donne per emanciparsi dallo stereotipo della casalinga è quindi molto più di una questione personale; è una lotta collettiva per il riconoscimento e la valorizzazione del proprio appetito e dei propri desideri. Le donne, attraverso la loro storia e le loro azioni, hanno dimostrato che non solo hanno il diritto di nutrirsi, ma anche di godere del cibo e della vita in tutte le sue sfaccettature.
Il piatto, in questo contesto, diventa un potente simbolo di resistenza e di liberazione. Non rappresenta solo un luogo di contenimento dei bisogni altrui, ma anche un oggetto da riempire con i propri desideri, una tavola su cui le donne possono finalmente sedere e reclamare il loro posto. La storia del cibo e delle donne è una storia di lotta, di appetiti e di emancipazione, e continua a evolversi nel tempo, riflettendo le sfide e le conquiste delle generazioni passate e future.
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