
La minestra delle staffette partigiane: ricette e storie delle donne della Resistenza
Durante la Seconda guerra mondiale, l’Italia affrontò un periodo di grande difficoltà e privazioni, con la scarsità di cibo che colpì ogni strato sociale. Sin dal 1939, prima dell’entrata ufficiale nel conflitto, si iniziarono a registrare restrizioni alimentari, come il razionamento dei beni di prima necessità. Con l’occupazione tedesca, la situazione si aggravò ulteriormente: razzie e requisizioni svuotarono stalle e dispense, rendendo la vita quotidiana una corsa contro il tempo per mettere insieme un pasto decente.
In questo scenario drammatico, il ruolo delle donne si rivelò fondamentale. Malgrado le politiche fasciste che le relegavano a ruoli marginali, furono proprio loro a garantire la sopravvivenza delle famiglie e dei gruppi partigiani. Sapevano come far durare il pane e come dare sapore a ingredienti poverissimi. Queste donne non solo nutrivano i loro cari, ma trasformavano l’organizzazione della cucina e della distribuzione del cibo in un atto di resistenza politica.
Le storie delle staffette partigiane
Il libro “Partigiani a tavola” di Elisabetta Salvini e Lorena Carrara esplora la dimensione quotidiana della Resistenza femminile. Attraverso le storie di staffette partigiane e madri che lottavano per il pane, si dipinge un quadro vivo della Resistenza, che non sempre impugnava il fucile, ma compiva gesti significativi ogni giorno.
Un esempio emblematico è quello di Luciana Chiari, che, per trasportare armi, usava un pacchetto di burro per nascondere le rivoltelle. Le donne si ingegnavano nella loro quotidianità, integrando l’azione di resistenza con la necessità di sopravvivere. La fame era una realtà quotidiana, come dimostra il diario di Bruna Talluri, che descrive una cena di guerra con una focaccia di foglie di cavolo.
La cucina come atto di resistenza
Con l’entrata in guerra, le razioni alimentari divennero sempre più scarse. La carne spariva dai mercati, il pane veniva razionato e l’olio d’oliva diventava un ricordo lontano. I piatti tipici venivano adattati alla scarsità: la torta Lorena era preparata con farina di polenta, mentre le castagne diventavano il pasto principale per i partigiani.
In questo contesto, la cucina non era solo un luogo di preparazione del cibo, ma anche un centro di decisioni e alleanze. Le donne che cucinavano per i partigiani erano ingegnose e capaci di affrontare la scarsità con creatività. Ingredienti come acqua di canale filtrata e farine protette dai parassiti diventavano parte della loro sapienza culinaria.
La minestra della staffetta
Uno dei piatti simbolo della Resistenza è la minestra della staffetta, pensata per nutrire chi partiva all’alba in bicicletta. Lidia Menapace, partigiana e staffetta, descrive una minestra sostanziosa a base di riso, patate e rape, preparata in condizioni di estrema difficoltà. Gli ingredienti, ridotti al minimo, riflettono la realtà di chi combatteva per la libertà, ma anche la capacità di resistere attraverso il cibo e la condivisione.
La ricetta, semplice ma ricca di significato, prevede:
- 3 rape medie
- 4 patate medie
- 200 g di riso
- 1 cipolla
- Olio, sale e acqua q.b.
Le verdure venivano tagliate a tocchetti, coperte di acqua in una pentola capiente e lasciate sobbollire, mentre il riso veniva aggiunto a metà cottura. Questo piatto rappresenta un atto di cura e solidarietà, un gesto di amore e lotta per la sopravvivenza.
Le donne della Resistenza non si consideravano eroine, ma madri, figlie e sorelle che facevano semplicemente il loro dovere. La loro storia, spesso dimenticata, è un tassello fondamentale per comprendere non solo il conflitto, ma anche la forza e il coraggio di chi, in tempi di guerra, ha saputo resistere con determinazione e ingegno.