L’industria vinicola italiana si trova attualmente in una fase critica, segnata dalle conseguenze dei dazi imposti dagli Stati Uniti e da un cambiamento radicale nei consumi. L’aumento del 20% sui vini italiani, deciso dall’amministrazione Trump, è diventato una realtà che i produttori devono affrontare con urgenza. Questo scenario, definito da molti un “anno zero”, offre anche opportunità di rinnovamento. Il settore è chiamato a reagire, modificando il proprio approccio per rimanere competitivo e attrattivo, soprattutto per i giovani consumatori.
Durante il convegno “Tra dazi e rivoluzione dei consumi: il vino a una svolta storica?”, organizzato da Federvini a Vinitaly 2025 a Verona, sono emersi temi cruciali riguardanti questa situazione. Micaela Pallini, presidente di Federvini, ha sottolineato l’importanza di una strategia comune per affrontare i dazi. “Dobbiamo parlare con una voce unica”, ha affermato, evidenziando il rischio che il vino italiano possa essere escluso dai canali distributivi americani a causa dell’incremento dei prezzi.
Secondo i dati forniti da Nomisma Wine Monitor, l’export di vino italiano negli Stati Uniti vale quasi 2 miliardi di euro all’anno, rappresentando il 24% dell’export mondiale di vino italiano. I dazi rischiano di compromettere questo equilibrio, facendo lievitare i prezzi medi all’importazione. Ecco alcuni esempi di come i dazi influiscono sui prezzi:
Gli effetti di questi dazi sono già visibili nei cambiamenti delle vendite e nella competitività del prodotto italiano. Il mercato statunitense, infatti, è caratterizzato da una forte concorrenza con paesi come Cile, Australia e Argentina, che offrono vini a prezzi più competitivi.
Parallelamente, il settore vinicolo deve affrontare un cambiamento nei gusti dei consumatori più giovani. La generazione dei 23-35 anni, che rappresenta il 20% del mercato del vino in Italia, mostra un crescente interesse verso vini dealcolati e a basso contenuto alcolico. Le vendite di vini dealcolati, ad esempio, sono aumentate del 54% negli Stati Uniti nell’ultimo triennio. Questo trend è accompagnato da una riduzione del consumo di vino tra i giovani, con un calo significativo nelle vendite in casa e nei ristoranti.
Le dichiarazioni di consumo raccolte da Nomisma evidenziano che il 34% dei consumatori statunitensi tra i 23 e i 35 anni preferirebbe vini low/no alcol rispetto a quelli tradizionali. In Europa, le percentuali sono simili:
Questo cambiamento nei gusti implica che le aziende vinicole italiane devono adattare le loro offerte per attrarre questa nuova clientela, che si mostra più attenta a fattori come la sostenibilità e il prezzo.
Il convegno ha anche trattato l’importanza di un’azione diplomatica unitaria a livello europeo per contrastare i dazi statunitensi. Federvini ha suggerito che siano necessarie misure fiscali immediate, come incentivi per le aziende che investono in innovazione, sostenibilità e digitalizzazione. La promozione del vino italiano all’estero, come simbolo di qualità e stile di vita mediterraneo, è vista come cruciale per mantenere la competitività.
Albiera Antinori, presidente del Gruppo Vini Federvini, ha sottolineato che i dazi avranno un impatto significativo sui consumatori americani, che perderanno potere d’acquisto. Tuttavia, ha aggiunto che è fondamentale non farsi prendere dal panico, ma piuttosto mantenere una strategia solida. “Dobbiamo saper innovare il linguaggio e usare i canali giusti per coinvolgere i giovani”, ha detto, rimarcando l’importanza di raccontare la storia e l’artigianalità del vino.
In conclusione, il settore vinicolo italiano si trova a un bivio, tra la necessità di adattarsi a un mercato in evoluzione e la sfida di mantenere la propria tradizione e qualità. Le nuove generazioni di consumatori richiedono un approccio fresco e innovativo, e il settore è chiamato a rispondere con creatività e coraggio. La sfida è grande, ma con una strategia ben definita e una visione chiara, il vino italiano può continuare a brillare nei mercati internazionali.
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