L’Istituto marchigiano di tutela vini (IMT) sostiene che apportare il nome dei vitigni in etichetta sia un atto di trasparenza verso i consumatori, in relazione all’articolo 44 comma 6 e relativo decreto attuativo del Ministero dell’Agricoltura.
Il Testo unico del vino prevede l’inserimento in etichetta – con la dovuta regolamentazione – del nome del vitigno utilizzato, ritenendo che le corrette informazioni in etichetta rappresentino una garanzia a tutela dei consumatori.
Secondo Imt la norma orizzontale riguarda tutti i vitigni che compongono i blend dei vini a denominazione, compresi molti prodotti marchigiani come il Verdicchio.
Dunque non c’è ragione di fare eccezioni, violando il principio di eguaglianza, come ipotizzato da un nuovo comma (n.16, articolo 5) del decreto attuativo già criticato dalla maggioranza delle organizzazioni di filiera.
Il mondo del vino deve dunque ambire alla massima trasparenza nei confronti dei consumatori, anche e soprattutto per un vitigno, il Montepulciano, coltivato in quasi tutte le regioni italiane per un totale di 35mila ettari, 2 DOCG, 36 DOC e 88 IGT.
Imt confida inoltre che lo schema di decreto, al momento in stallo per queste ragioni, possa confermare gli obiettivi di tutela e informazione prefissati in merito alle varietà di uva utilizzate per la produzione dei prodotti senza incorrere in sanzioni comminate fino ad oggi.
Inizialmente, circa nel 2016, in Italia si è creato un allarme al riguardo, poiché si voleva mantenere lo status quo, ovvero il livello di tutela delle DOP e IGP non modificando le regole dei vigneti.
Liberalizzare il nome dei vitigni era considerato pericoloso per quei produttori che avevano puntato il marketing sul nome del vitigno e non sull’indicazione geografica in quanto territorio.
Per completezza, parlando del Sagrantino, vino DOCG dell’Umbria e vitigno, oppure dell’Albana o Cannonau pur non figurando nell’allegato XV, parte B, del reg. CE n. 607/2009 non si possono utilizzare liberamente.
Ad essi si applica il principio generale contenuto all’art. 100, par. 3, del reg. UE n. 1308/2013, secondo cui un nome di varietà – “Sagrantino” – che contiene o che è costituito da una DOP o IGP – “Sagrantino di Montefalco” – non può essere utilizzato nell’etichettatura dei prodotti agricoli.
Diversamente per il Vermentino, la Vernaccia e al Lambrusco si applica la deroga perché quei nomi di varietà, che comprendono una DOP o una IGP, sono utilizzati storicamente e tradizionalmente per altri vini DOP e IGP.
Un altro esempio è il Brachetto, nome di varietà compreso nella DOCG “Brachetto d’Acqui”: questo vino può, grazie alla deroga, essere utilizzato anche nella DOC Piemonte.
Stessa cosa per il Lambrusco, compreso della DOC Lambrusco di Sorbara, ma utilizzato anche nei vini IGT Emilia, diventando Lambrusco dell’Emilia IGT.
Ancora oggi è forte il dibattito sulle conseguenze del vino sulla salute: era partita dall’Irlanda la rivoluzione sanitaria unica nel suo genere, nonché abbastanza pericolosa da scatenare la rabbia dei grandi produttori di vino europei.
L’Irlanda chiedeva l’obbligo di etichettare ogni tipo di alcolico con un set di avvertenze per la salute, richiesta che però non ha entusiasmato diversi paesi europei che hanno in seguito votato all’unanimità la risoluzione contro le etichette sanitarie sulle bottiglie.
Inoltre nel maggio scorso otto Paesi extra Ue (Usa, Cuba, Regno Unito, Repubblica Dominicana, Canada, Australia, Cile e Messico) hanno presentato all’Organizzazione mondiale del commercio i loro commenti, mettendo nero su bianco le loro perplessità su questa controversa questione.
Lo scorso 7 maggio, infatti, scadevano i 90 giorni di tempo dati ai Paesi membri dell’Omc per dire la loro. L’Italia e gli altri paesi Ue non potevano esprimersi in questo caso (dal momento che si trattava di dire la propria su una disposizione di un Paese membro della Ue), ma avevano già presentato i loro commenti nello scorso semestre, nel cosiddetto periodo di stand still fissato dalla procedura europea.
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