Parlando di vino potrebbe esservi capitato di sentire pronunciare queste due parole: fermentazione secondaria.
Si tratta di un termine tecnico utilizzato spesso per indicare una fase particolare presente nel processo produttivo e di vinificazione di un’etichetta specifica.
Oggi, in questo approfondimento, cerchiamo di entrare più nel dettaglio e di capire che cosa si intende quando si parla proprio di “fermentazione secondaria”.
Alla scoperta della fermentazione secondaria del vino
Per riuscire a comprendere esattamente che cosa sia la fermentazione secondaria è prima doveroso scomporre questi due termini e concentrarsi sul loro singolo significato.
La “fermentazione” è di per sé uno dei processi chiave per la vinificazione. Tale fase si identifica con la trasformazione di una sostanza complessa in composti decisamente più semplici, per mezzo dell’azione di alcuni microrganismi specifici.
Quando si parla di vino, il tipo di fermentazione più noto e la fermentazione alcolica, la quale finisce con il determinare la vera e propria trasformazione del mosto in vino.
È infatti in questa fase che gli zuccheri che si trovano nell’uva sono protagonisti di una serie di reazioni chimiche, scatenate per mezzo dell’uso di alcuni lieviti selezionati e che portano alla formazione di sostanze più semplici, tra cui anche l’alcool etilico.
Passando alla parola “secondaria”, essa identifica la presenza di un secondo processo di fermentazione, successivo in ordine cronologico alla fermentazione principale e primaria.
Nominando la “fermentazione secondaria” ci si riferisce quindi a un secondo processo fermentativo subito dal vino e che viene effettuato successivamente alla fermentazione alcolica.
Entrando ancora di più nello specifico, è possibile distinguere due differenti tipologie di fermentazione secondaria, conseguenti alla già citata fermentazione alcolica: una è la “fermentazione malolattica” e l’altra è la “rifermentazione per la spumantizzazione”.
Procediamo allora con ordine e analizziamole più approfonditamente entrambe.
Partiamo dalla fermentazione malolattica, la quale consiste essenzialmente nell’insieme di reazioni chimiche che vengono attivate dai batteri lattici e portano alla trasformazione dell’acido malico in acido lattico.
Essa si verifica a seguito di una fermentazione alcolica (per questo è una fermentazione secondaria, ndr), ma soltanto in presenza di determinate condizioni, quali una temperatura ambientale compresa tra i 18°C e i 20°C, un ph del vino con valore compreso tra i 3,4 e i 4, dell’anidride solforosa presente in quantità inferiore ai 5 mg/l e una presenza inferiore al 15% di alcool etilico.
Affinché la fermentazione malolattica possa avvenire, ogni produttore dovrà quindi badare attentamente a questi parametri, così da scatenare o meno la reazione desiderata.
Non sempre, infatti, questo tipo di fermentazione secondaria è indicata per ogni vino.
La fermentazione malolattica serve a rafforzare la stabilità biologica del vino, trasformando l’acido malico (poco stabile e dal sapore molto aspro, ndr) in acido lattico (più stabile e molto meno aspro, ndr).
Tradotto: i vini che subiscono la fermentazione malolattica subiscono un incremento nella propria morbidezza e una diminuzione nell’acidità.
È per questo motivo che questo tipo di fermentazione secondaria viene spesso utilizzata per migliorare il gusto dei vini rossi più complessi o dei vini bianchi più strutturati, risultando invece sconsigliata per vini contraddistinti da una spiccata freschezza.
Passiamo ora alla rifermentazione per la spumantizzazione, altra tipologia di fermentazione secondaria che è possibile innescare a seguito di una prima fermentazione alcolica.
In questo caso parliamo di una fermentazione tipica all’interno del processo produttivo degli spumanti e dei cosiddetti vini frizzanti.
Le bollicine che tutti siamo abituati a vedere in queste tipologie di alcolici e che tanto piacevoli risultano al palato vengono ottenute proprio grazie a questo secondo processo di fermentazione, il quale può a sua volta essere operato in due maniere distinte e diverse tra loro, a discrezione del produttore.
Parlando della rifermentazione per la spumantizzazione, infatti, è corretto distinguere il metodo classico dal metodo Charmat (o Martinotti, ndr).
Il primo prevede che il vino base venga posto direttamente in bottiglia, mentre il secondo in autoclave (un grande recipiente chiuso, ndr).
In entrambi i casi, al vino viene poi aggiunta una miscela di zuccheri o di lieviti selezionati (miscela che nel metodo classico è chiamata liqueur de tirage, ndr), i quali servono a dare inizio proprio a una seconda fermentazione (o rifermentazione, ndr) che porta alla produzione di anidride carbonica.
Quest’ultimo elemento è quello che definisce la tipica effervescenza di spumanti e vini frizzanti, oltre che la formazione della classica spuma.
È scontato dire che il processo di rifermentazione risulta quindi un passaggio chiave e indispensabile nella fase di spumantizzazione, motivo per cui non può esistere uno spumante che non abbia vissuto una fermentazione secondaria.