Distillazione di crisi: anche i produttori italiani potranno aderire alla misura, ma solo con i fondi regionali e con tempi strettissimi
Distillazione di crisi? Assolutamente no. Nessun compromesso, neppure nelle parole, per i molti vignaioli – piccoli, medi e grandi – uniti dal comune senso del valore del vino italiano.
Pochi sostenitori, comunque non convinti, della proposta del governo supportata anche dall’Unione Europea. Si tratta di un’opzione estrema, una misura di ultima risorsa che potrebbe salvare forse solo un terzo della produzione vinicola, ma che svaluta la qualità del prodotto e il lavoro dei produttori.
Distillazione in crisi, di che cosa si tratta?
Per capire meglio, cos’è la distillazione di crisi? È semplicemente la trasformazione in alcol del vino in eccedenza, pagata con fondi pubblici, ma spesso con compensi così bassi che non coprono nemmeno le spese di produzione. È proprio questa inadeguatezza dei compensi che suscita le proteste. “Ascolto questi appelli alla distillazione e rimango basita, allarmata, scoraggiata,” dice Marilena Barbera, vignaiola di Menfi.
“Ci dicono di ascoltare le esigenze delle grandi aziende vinicole, degli imbottigliatori con cisterne piene di vini generici non adatti all’affinamento. Ma chi è solidale con i vignaioli?” continua la siciliana, impegnata personalmente nella sua vigna. “Chi sostiene i vignaioli che lavorano in territori agricoli marginali, con vigne su terrazze ripide, muretti a secco e terre rocciose, vigne centenarie che devono essere lavorate a mano perché il trattore non passa? Questi vignaioli rappresentano la maggioranza dei produttori italiani”.
Un’importante e autorevole eco alle parole di Marilena Barbera arriva da Walter Massa, vignaiolo piemontese e attivista della cultura della vigna: “La distillazione non è nemmeno un palliativo, è un autogol nel secondo tempo, che aggrava i problemi del vino invece di risolverli”, afferma Massa. Per lui, c’è un forte scollamento tra la distillazione di crisi e la figura del vignaiolo.
“Una proposta del genere non può venire da un vero vignaiolo, perché difende scorciatoie che danneggiano la qualità e la reputazione del vino italiano. Noi non abbiamo mai cercato scorciatoie: siamo uomini e donne che con impegno, coraggio e intuito abbiamo colmato il gap qualitativo e d’immagine del vino italiano nel panorama enologico mondiale”.
Walter Massa non è l’unico a esprimere questo orgoglio: anche Ettore Ciancico, presidente dei Vignaioli Toscani Indipendenti, parla con fierezza del legame con la terra. “Quando uno straniero pensa alla Toscana, ricorda l’arte, le colline, il vino. Non si può distillare la tradizione e il territorio. Non si distilla il made in Italy. Dobbiamo invece sostenere i vignaioli, custodi di questo patrimonio, che lavorano ogni giorno per produrre 50-70 quintali di uva per ettaro, non 300″.
Marilena Barbera spiega che, rimuovendo i vini generici dal mercato, si creerebbe una situazione ideale in cui i vini di qualità avrebbero meno concorrenza. Tuttavia, aggiunge che le risorse destinate alla distillazione potrebbero esaurire i fondi che potrebbero finanziare misure più appropriate per i vini di qualità, come lo stoccaggio, che valorizza i vini che migliorano con l’affinamento. “La distillazione è un’offesa alla dignità e all’onestà del lavoro: pochi spiccioli che calpestano un anno di lavoro e non coprono nemmeno i costi di produzione dell’uva, figuriamoci della vinificazione”.
Francesco Sannitu, giovane produttore gallurese, non è aperto alla distillazione volontaria: “In Gallura, per ragioni geografiche e orografiche, non si producono grandi quantità, quindi non è una soluzione che considero. Non voglio sminuire anni di lavoro in vigna, preferisco mantenere rese basse e aumentare la qualità, magari investendo sull’invecchiamento in cantina dei miei vini, anche quelli bianchi. I francesi sono fonte di ispirazione, sia per l’orgoglio che mettono nel lavoro, sia per le tecniche produttive”.
“La soluzione, secondo noi, non è distruggere le eccedenze produttive, che causerebbe una riduzione drastica della rendita per ettaro. La nostra proposta è invece puntare sulla qualità, riducendo la resa in vino al momento della vinificazione dal 70% al 60%. Il 10% in eccesso potrà essere distillato. Questo manterrà alta la qualità della vendemmia 2020 e non svilirà il prodotto,” propone Francesco Monchiero, Presidente del Consorzio Tutela Roero.
Un’opinione simile, seppur con qualche apertura, arriva da Daniela Pinna, presidente del Consorzio di Tutela del Vermentino di Gallura Docg: “Le ultime tre annate di Vermentino di Gallura sono state difficili a causa di gelate, siccità e venti salati, quindi non siamo preoccupati delle giacenze. La distillazione di crisi non è una priorità per il Consorzio, ma non ci opponiamo: chi ne avrà bisogno potrà richiederla. Siamo pronti a discutere di un aumento della percentuale del taglio d’annata, dal 15% al 30-35%. Questo unirebbe due grandi annate senza danneggiare l’immagine o la quota di mercato.”
Filippo Mobrici, presidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato e di PiemonteLand, concorda con Pinna: “Come consorzio, non possiamo dire no alla distillazione se il valore proposto sarà adeguato per il produttore. Tuttavia, le tre DOCG del territorio non si toccano, mentre per le DOC meno conosciute potrebbe essere un’opportunità economica da considerare. Ci opporremo con forza alle speculazioni. Siamo pronti con proposte alternative, come il taglio d’annata. Con un 2019 eccellente in termini di qualità, aumentare le percentuali di taglio e diminuire le rese in vigna potrebbe creare un equilibrio quasi perfetto, sia economicamente sia per la salvaguardia del lavoro dei vignaioli.”