Le nuove tariffe imposte dagli Stati Uniti rappresentano una minaccia concreta per il settore vinicolo italiano. Il rischio di una contrazione delle vendite di 330 milioni di euro l’anno impone alle aziende italiane di valutare strategie per rimanere competitive
L’industria vinicola italiana si trova ad affrontare una nuova minaccia sul mercato statunitense: l’imposizione di dazi da parte dell’amministrazione Trump potrebbe causare perdite fino a 330 milioni di euro l’anno, colpendo duramente uno dei settori di punta del Made in Italy. Secondo le stime dell’Osservatorio dell’Unione Italiana Vini (Uiv), il danno economico potrebbe tradursi in una contrazione del 17% sul giro d’affari complessivo del vino italiano negli Stati Uniti, che attualmente ammonta a 1,9 miliardi di euro.
L’analisi dell’Uiv suggerisce che i dazi previsti saranno del 20% per i vini fermi e del 10% per gli spumanti. Questa differenziazione sembra essere influenzata dalle pressioni esercitate dai principali operatori dell’industria vinicola statunitense, che importano e distribuiscono grandi quantità di Prosecco e preferirebbero evitare tariffe troppo elevate su questo prodotto di punta. La minore imposizione fiscale sulle bollicine potrebbe quindi ridurre l’impatto negativo su questa specifica categoria, mentre i vini rossi e bianchi subirebbero le conseguenze più pesanti.
Le previsioni dell’Uiv si basano anche su quanto accaduto al vino francese tra il 2020 e il 2021, quando un dazio del 25% imposto dagli Stati Uniti ha portato a un crollo delle esportazioni del 24%. Se la risposta del mercato seguisse lo stesso andamento, l’Italia potrebbe registrare perdite simili, con un impatto diretto sulla competitività delle aziende vinicole italiane.
L’effetto dei dazi si somma a un quadro già complesso per l’export vinicolo italiano. Secondo i dati dell’Osservatorio Uiv, le vendite di vino italiano negli Stati Uniti sono in calo già dal 2023: bianchi e rossi hanno registrato una flessione del 6,4%, mentre gli spumanti hanno mantenuto un trend positivo (+1,5%), guadagnando terreno rispetto ai competitor internazionali. Tuttavia, l’andamento generale del mercato statunitense è ancor più preoccupante, con un calo complessivo del 7,2%.
La grande distribuzione ha subito un’ulteriore contrazione, con un calo del 4,2% a volume e del 2,5% a valore, portando il giro d’affari del vino italiano negli USA a 2,6 miliardi di euro. Alcune denominazioni riescono a resistere meglio alla crisi: Prosecco, Brunello di Montalcino e Barolo sono tra le poche eccezioni con risultati positivi. Il Pinot Grigio delle Venezie e il Lambrusco, invece, registrano cali rispettivamente del 7% e del 6%.
In questo contesto, l’andamento del dollaro gioca un ruolo chiave: un rafforzamento della valuta statunitense potrebbe attutire la perdita, limitandola a 250 milioni di euro. Se invece il dollaro dovesse indebolirsi, la contrazione delle vendite italiane negli USA potrebbe essere ancora più marcata.
Il presidente di Unione Italiana Vini, Lamberto Frescobaldi, ha espresso forte preoccupazione per l’impatto che questi dazi avranno non solo sulle aziende vinicole italiane, ma anche sui consumatori statunitensi. “Il danno sulle imprese sarà inevitabile, perché se vorranno rimanere competitive dovranno assumersi gran parte dell’extra-onere richiesto, visto che il mercato non è in grado di sostenerlo. Ma il danno sarà doppio, perché lo subiranno inevitabilmente anche i consumatori finali a causa di un’inflazione che tornerà a bussare con insistenza“, ha dichiarato Frescobaldi.
L’innalzamento dei prezzi del vino italiano sul mercato americano potrebbe infatti spingere molti consumatori a orientarsi verso alternative locali o prodotti di altri paesi esportatori, riducendo ulteriormente la quota di mercato dei vini italiani negli USA.
Paradossalmente, il 2024 si chiuderà con un valore record delle esportazioni italiane di vino negli Stati Uniti, superando i 1,9 miliardi di euro. Tuttavia, questo dato è parzialmente drogato dall’impennata della domanda di spumanti registrata a novembre (+41% rispetto all’anno precedente), legata alla corsa all’acquisto prima dell’entrata in vigore dei dazi. Dicembre seguirà lo stesso trend, ma secondo gli analisti dell’Uiv non ci sarà motivo per festeggiare: dal 2025, infatti, le prospettive sono decisamente meno rosee.
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