Il sakè è la bevanda orientale più nota e apprezzata in Italia. Viene dal Giappone, è presente in ogni anime e manga giapponese ed è la prima bevanda alcolica che viene in mente quando si pensa al popolo del Sol Levante. Contrariamente alla nostra cultura vinicola, si produce utilizzando soprattutto il riso. Si ottiene infatti con un processo di lavorazione molto particolare, per cui viene anche soprannominato “vino di riso”.
Che cos’è il sakè
Il sakè è dunque la bevanda alcolica principale giapponese. L’etimologia del termine è piuttosto banale: la parola “sakè” indica infatti semplicemente “bevanda alcolica”. Il sakè inteso da loro è invece il “nihonshu”, ossia “alcol giapponese”. La sua storia non è ben documentata e sono diverse le teorie su come possa essere stato inventato.
Un’ipotesi è che abbia avuto origine in Cina attorno al quinto millennio a.C. e che sia poi stata esportata in Giappone. Un’altra fa invece risalire il processo di lavorazione al terzo secolo in Giappone, con l’avvento della coltivazione del riso in umido. Il primo sakè venne chiamato “kuchikami no sake”, cioè “sakè masticato in bocca” perché il composto veniva fatto appunto masticando i vari elementi e sputando poi il composto in un tino: la saliva permetteva agli amidi del riso di convertirsi in zucchero.
Come si produce il sakè
Oggi, naturalmente, non si usa più la saliva o mezzi rudimentali come all’epoca. Le materie prime usate sono acqua, riso e fermenti. Il riso viene pulito con il “Seimai”, un procedimento che comporta la pulizia delle parti più esterne arrivando al cuore di amido. Poi si lascia in ammollo perché assorba la quantità giusta d’acqua fino anche a una notte intera. Poi viene cotto in contenitori chiamato “Koshiki” e si inocula una muffa nobile, la “Koji” (Aspergillus oryzae) che si presenta come un’impalpabile polvere verde. La muffa trasforma gli amici in zuccheri semplici che saranno poi lavorato per la gradazione alcolica.
Il riso viene poi adagiato su vassoi dentro una stanza (koji muro) fino a 46 ore. Al “koji” – così ora viene chiamato il riso in questa fase – si aggiungono acqua e fermenti per preparare lo “shubo”, cioè il composto di sakè. Si fermenta per due settimane e, una volta pronto, si trasferisce in grandi taniche dove per tre volte in quattro giorni si aggiunge riso cotto, acqua e koji. Si ottiene così il “Moromi”. A seconda di chi produce, si può arrivare a lavorare poi il composto fino a 32 giorni.
La bevanda pronta
Il sakè viene infine spremuto e poi lasciato riposare per circa sei mesi prima di essere imbottigliato e viene diluito solitamente con un 20 per cento di acqua per abbassare il grado alcolico dai 20 iniziali ai 16 finali, così da essere bevuto più facilmente. Il sakè potrebbe eventualmente subire anche una pastorizzazione prima e dopo l’imbottigliamento. Da distinguere due tipi di sakè inoltre: quello fatto con acqua, riso e koji si chiama “Junmai”, mentre quello che si avvale dell’aggiunta di alcol è detto “Honjozo”.