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Il vino

Come si degustava il vino nell’antica Grecia? I rituali dimenticati

Ogni popolo ha le sue tradizioni che, nel caso di popoli europei, hanno spesso a che fare con il vino. Il vino, infatti, ancora oggi rappresenta una bevanda centrale nella convivialità. Lo stesso accadeva, certamente, anche in civilità del passato. Si conoscono in maniera approfondita le abitudini degli antichi Romani, amanti del vino nelle sue diverse sfumature, e si conoscono anche quelle degli antichi Grecia. Anche ad Atene e dintorni il vino giocava un ruolo importante. Esistevano, per lui, specifici contenitori per il consumo e moltissimi riti ad esso collegati.

Il vino nell’antica Grecia: come lo consumavano?

Una mano a ripercorrere le abitudini degli antichi Greci legate al vino ce la dà l’esperto di archologia Peter Reynaers, intervistato da Catawiki. È lui a raccontare due diversi riti collegati al consumo di vino anche se, è bene dirlo, non ci sono moltissime informazioni sulle tendenze edonistiche degli antichi Greci, al contrario di quanto accade con i Romani. “Prendiamo ad esempio i rituali come i Misteri dionisiaci nell’Antica Grecia. Un culto che segue il dio della vendemmia – Dioniso o Bacco – dove chi vi partecipa beve fino ad abbandonarsi completamente, per così dire, come un modo per lasciarsi possedere dal dio“, spiega Reynaers.

Immagine | Wikipedia @ChrisO – Vinamundi.it

Un altro rituale si chiama, invece, Misteri Eleusiniani. Durante questi misteri si celebrava la storia di Demestra e Persefone e si beveva il keykon, una bevanda composta da acqua, farina d’orzo e menta. A questi ingredienti capitava venisse aggiunta anche la segale cornuta, vale a dire una segale infestata da un fungo parassita. Questo porta in dote effetti psicoattivi che avevano come scopo quello di favorire stati mistici, accrescere l’esperienza della vita e superare la paura della morte.

Kylix, il contenitore più utilizzato

Il vino nell’antica Grecia veniva consumato in appositi contenitori. Il più noto era la kylix. “La kylix è una coppa a fasce, o coppa da vino, del VI secolo dC – aggiunge Peter Reynaers –. Questi vasi erano dipinti in nero su rosso – una tecnica comune tra il VII e il V secolo dC, che ha dato origine a un numero significativo di artisti ben identificabili. Erano decorati con Satiri e Menadi, seguaci del Dio Dioniso: il dio dell’ebbrezza e delle feste“.

Con questo contenitori i Greci si divertivano poi giocando a kottabos. Un gioco le cui regole erano abbastanza semplici: si dovevano gettare gli ultimi residui di vino da una coppa sul bersaglio, solitamente un disco metallico che oscillava e che galleggiava nel vino fino ad affondare. I vincitori, con ogni probabilità, vincevano un’altra bevanda. Il kottabos è il motivo per cui oggi moltissime kylix vengono trovate con i manici rotti: venivano lanciate durante il gioco.

Il vino “puro” era per i rozzi

Gli antichi Greci amavano il vino, ma non lo bevevano “puro”. Amavano, infatti, diluirlo con l’acqua, questo perché il solo vino veniva considerato troppo pesante e rozzo. Una decisione contraria a quanto, invece, erano abituati a fare i Romani. In Grecia la proporzione tradizionale era una parte di vino ogni tre parti di acqua, che diventava 1:2 per i momenti di festa. Per questo motivo esistevano, anche in questo caso, contenitori specifici. Venivano chiamati crateri e sembra fossero posti al centro della festa, in modo che tutti potessero avervi accesso. Questi vasi erano decorati ed è capitato siano stati ritrovati utilizzati anche come contenitori per defunti.

 

 

Gianluca Pirovano

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