Il mondo del vino sta attraversando una fase di trasformazione e riflessione, soprattutto in un contesto economico e sociale in continua evoluzione. Armando Castagno, noto critico enologico e autore di “Viaggio in Franciacorta”, edito da Treccani, offre una prospettiva illuminante su come affrontare la crisi attuale del settore. La sua filosofia si basa su una comunicazione più accessibile e popolare, capace di attrarre anche le nuove generazioni. Castagno afferma: “Il vino è come una bustina di tè”, suggerendo che esso si immerge in un “brodo culturale” più ampio, un concetto riassunto nella parola “terroir”. Questo termine rappresenta non solo il territorio, ma anche le comunità umane che lo abitano e che, nel corso della storia, hanno sviluppato una sensibilità estetica unica.
Castagno sottolinea come, negli ultimi ventitré anni, il modo di comunicare il vino sia radicalmente cambiato. In passato, la comunicazione era dominata da linguaggi specialistici, spesso inaccessibili ai non addetti ai lavori. Oggi, invece, si assiste a una crescente diffusione di un linguaggio colloquiale e diretto, che mira a coinvolgere un pubblico più ampio. Riviste e forum come quelli del Gambero Rosso hanno svolto un ruolo cruciale in questo processo, rappresentando veri e propri incubatori di idee e stili comunicativi. Questo cambiamento ha permesso di abbandonare il tecnicismo e di adottare una “volgarizzazione tecnica” che ha reso il vino più comprensibile e accessibile.
In un’epoca in cui la genuinità è molto ricercata, la comunicazione del vino deve puntare su elementi di autenticità. La crescente diffidenza verso pratiche enologiche invasive ha portato a una valorizzazione di approcci più naturali e sostenibili. Castagno afferma: “La critica del vino deve essere un mezzo di mediazione”, sottolineando l’importanza di mantenere un linguaggio che, pur essendo semplice, non banalizzi l’argomento. In effetti, il vino è intrinsecamente complesso e ricco di sfumature culturali che meritano di essere esplorate.
La questione del linguaggio rimane centrale. Castagno avverte che la critica enologica può cadere nel rischio di autoconservazione, creando un linguaggio tecnico che aliena i consumatori. “La peggiore critica enologica”, spiega, “ha un istinto di autoconservazione molto forte, e tende a ripiegarsi su sé stessa”. D’altro canto, l’adozione di un linguaggio più accessibile non deve significare una perdita di precisione. In contesti specialistici, la terminologia deve essere utilizzata con rigore, ma nel dialogo con il pubblico generale, la chiarezza deve prevalere.
Il tema della sostenibilità è cruciale nella comunicazione del vino. Castagno avverte che, sebbene la sostenibilità sia diventata una scelta obbligata per molti, non deve mai giustificare la mediocrità del prodotto finale. “La qualità deve sempre rimanere al primo posto”, afferma. La sostenibilità non può essere una semplice foglia di fico, ma deve integrarsi con la ricerca di un prodotto esteticamente interessante e culturalmente rilevante. La vera essenza del vino risiede nella sua capacità di stimolare la percezione e il giudizio estetico.
In un’era dominata dai social media, la potenza evocativa del testo scritto non deve essere sottovalutata. Castagno crede fermamente che la scrittura di qualità possa avere un impatto narrativo superiore a quello delle immagini. “Un testo scritto bene avrà sempre una forza narrativa significativa”, sottolinea, richiamando alla mente opere di scrittori come Julien Gracq e Francesco Biamonti, che sanno evocare luoghi e sensazioni con la loro prosa.
In questo panorama in continua evoluzione, le parole di Armando Castagno offrono spunti preziosi per riflessioni e azioni concrete nel mondo del vino, stimolando un dialogo che unisce tradizione, innovazione e responsabilità culturale.
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