La vite che si trova sulle Dolomiti è uno dei più importanti indicatori ambientali, perché sancisce limiti e scandisce il territorio, inoltre è la pianta che meglio interpreta la fatica dei montanari.
Sicuramente fare vino in quota non è per tutti, perché ci vuole esperienza, fatica e molta pazienza: qui c’è una viticoltura in equilibrio tra consuetudini del passato e sfide agronomiche future piantando in alta quota varietà di viti resistenti non solo al clima, ma anche a patogeni aggressivi.
Il vino della neve di Nicola Biasi, un esempio di viticoltura eroica
Il progetto più singolare è quello di Nicola Biasi, giovane enologo trentino che ha piantato una tipologia di viti Piwi, in grado di resistere spontaneamente alle principali malattie fungine della vite.
Biasi è nato a Cormons e, con numerose esperienze in giro per il mondo tra cui in Toscana dove si dedica con passione al Sangiovese, nel 2016 decide di volersi dedicare a progetti personali e diviene enologo consulente per molte realtà oltre che lui stesso produttore di vino.
Inizia con un piccolo, potremmo dire piccolissimo, vigneto in alta Val di Non a Coredo, a 830 m.s.l.m. dove i suoli sono costituiti in gran parte da dolomia. La vigna è parte di un podere di famiglia acquistato dai nonni di Nicola dopo la guerra. Un ettaro complessivo annessa abitazione dedicato alla coltivazione delle mele come del resto fa tutta la valle.
Si trova sul versante che da Coredo guarda verso la Predaia, piccola area sciistica. La varietà è Johanniter, ibrido in cui si intrecciano geni di Riesling e Pinot Grigio, vite assolutamente ecocompatibile.
La vendemmia produce un vino bianco decisamente originale anche nel nome: Vin de la Neu, cioè la definizione di “vino della neve” nel dialetto della Val di Non.
Prende questo nome perché il 12 ottobre 2013, il giorno della prima vendemmia, al mattino, il vigneto era ricoperto da uno strato di fresca neve caduta durante la notte.
Un posto incantato in cui la sostenibilità è davvero reale. A partire dal vitigno che, in quanto PIWI, non necessita di trattamenti, poi nessun diserbo, pali di sostegno dei filari in larice a chilometro zero per finire con tutte le operazioni effettuate manualmente senza uso di mezzi a motore.
I riscontri sono stati a dir poco esplosivi. Questo vino è subito diventato iconico, imitato da vignaioli montanari di mezzo mondo, vino premiato da tutta la critica enologica.
Nel 2012 l’impianto della vigna e già dall’anno successivo il primo raccolto che dà origine a 300 bottiglie non commercializzate. Un vino riuscito che fa ben sperare per il futuro.
La vinificazione è altrettanto delicata ed attenta: Pressatura soffice e chiarifica in vasche di cemento, fermentazione in barrique di rovere francese con successiva maturazione per 11 mesi; affinamento in bottiglia per almeno 14 mesi.
Testimonianza preziosa per un premio all’amenità paesaggistica, alla caparbietà vitivinicola. Senza soste. Un vigneto collinare infatti non sopporta la meccanizzazione. Quella che sprona a sfidare il consueto e guarda al domani, interpretando cambiamenti climatici e precise strategie di ricerca scientifica.
Viti resistenti per vini di montagna sono al centro di tante altre sperimentazioni vitivinicole alpine. Sfruttano le peculiarità del territorio, campi spesso microscopici – la frammentazione fondiaria è caratteristica portante di tutto il sistema agricolo trentino – e comunque troppo ripido.
Forme d’allevamento per profittare meglio l’esposizione delle piante al sole, per recuperare ogni minuscolo appezzamento, terreni sorretti da mura di sassi a secco, tra l’azzurro del cielo alpino e quello di tanti specchi d’acqua, torrenti o ruscelli che solcano le vallate.
I vigneti sembrano quasi azzardati e qui si deve operare ancora con la manualità, gesti e metodi agricoli che non sono per niente convenienti: quasi 600 ore l’anno per accudire un ettaro di questi filari.
La montagna trentina ha ulteriori legami con la produzione di spumanti, quelli ottenuti con il rigoroso, classico metodo stile champagne, vale a dire la lenta rifermentazione del vino in bottiglia.
“Quando la montagna diventa perlage“ è un motto promozionale del TrentoDoc, Istituto di tutela che raggruppa una settantina di maison, con i marchi tra i più rinomati a livello internazionale.
Spumanti briosi e altri vini con l’indole della verticalità dolomitica. Produzioni che attingono conoscenza enologica nella ricerca più avanzata, consolidata nei 150 anni di storia della Scuola agraria di San Michele all’Adige, centro di ricerca dedicato ad Edmund Mach, pioniere dell’enologia moderna.