Per gli appassionati del vino, l’Albania è probabilmente l’ultimo paese che potrebbe destare interesse e di conseguenza ci sono poche occasioni in cui si possono degustare i loro vini – a meno che non decidiate di trascorrere le vacanze sulle coste albanesi, ma anche in quel caso sarà comunque un’impresa ardua -.
Ecco che, a colmare questo vuoto di conoscenza, ci ha pensato l’AIS Club Albania nella serata organizzata da AIS Romagna, una delle tante serate promosse in giro per l’Italia.
Il ricavato della serata sarà destinato alla Sanità Albanese e Vincenzo Vitale, relatore AIS della serata, è a tutti gli effetti un vero esperto sull’Albania avendoci vissuto per lungo tempo.
Inoltre Vincenzo è stato tra i primi ad avviare il processo di albafetizzazione enoica della filiera del moderno vino albanese. Avendo iniziato come distributore di vini italiani, oggi si ritrova invece a cercare di convincere ristoranti e alberghi albanesi a proporre i loro vini.
La ripresa della viticoltura in Albania
La storia del vino albanese in realtà è antica e risale a quando Greci e Illiri ci abitavano e qui transitavano le viti che i Romani diffusero in tutto il loro Impero.
In epoca più attuale, dopo l’indipendenza dell’Albania conquistata nel 1912, la viticoltura riprese un certo vigore arrivando a occupare una superfice di circa 15mila ettari. Ma è solo con l’avvio della parziale privatizzazione dei terreni, dopo la caduta del regime Enver Hoxha che l’interesse si è fatto più vivo.
Oggi si contano 26mila ettari e l’andamento è in crescita; merito di investimenti stranieri, dei fondi europei e del forte orgoglio del popolo albanese nel voler produrre vini che riflettano la loro identità.
L’Albania è un paese prevalentemente montagnoso e la viticoltura è praticata in diverse aree suddivise in fasce altimetriche.
Se ne contano sommariamente sei: Zadrima, Sukth, Narta, Myzeqeja, Korca e Permet. Le cantine che producono vino, in parte acquistando uva da piccoli viticoltori, (la proprietà è molto frammentata) sono circa una trentina: molte sono condotte da Albanesi che hanno studiato e fatto stage in Italia e oggi mettono a frutto le loro competenze con l’aiuto, sempre più occasionale, di enologi italiani.
Competenze sia agronomiche sui quattro vitigni autoctoni albanesi, che di tecniche enologiche. Di autoctoni si conta lo Shesh, vitigno sia bianco che nero di uva dall’interessante acidità, Kallmet, uva rosso di gran carattere, esprime tannini delicati, Pules uva bianca di buona aromaticità e Vlosh, vecchio vitigno in fase di riscoperta.
I vini dell’Albania da conoscere
Iniziamo con il Pulez 2019 della Kantina Uka Farm, prodotto con 100% uve Pules, con fermentazione a temperatura controllata.
Il vino matura 8-10 mesi in acciaio a cui segue un affinamento di 4 mesi in bottiglia. Il colore è giallo paglierino che tende al dorato, al naso prevalgono i sentori di frutta esotica matura e quelli di albicocca essiccata.
Al palato è gradevole, con un’acidità che pur non essendo molto accentuata è ben equilibrata, assicurando al vino una buona freschezza.
Della Kantina Alimani invece abbiamo il Shesh i Bardhe 2018, la cui vigna è ubicata a 3 km dal mare e il vino matura per 8-10 mesi in acciaio a cui segue l’affinamento per 3 mesi in bottiglia.
E’ ritenuto un vino semplice con un bel colore paglierino e al naso si sente un profumo di affumicatura, pur essendo un vino che non viene a contatto con il legno.
Anche in bocca è ben presente la nota di affumicatura, unitamente ad un’acidità davvero interessante. Il produttore è Rezart Alimani che lavora anche nel Lazio, presso l’azienda Poggio delle Volpi dove aveva seguito il padre che dopo l’esproprio delle proprie vigne da parte del governo comunista, era stato costretto ad emigrare.
Passiamo poi al Shesh i Bardhe 2020 della Duka Winery prodotto con 100% di uva Shesh i Bardhe proveniente da una vigna che si trova a 3 km dalla costa.
Il vino matura 8-10 mesi in acciaio e affina 3 mesi in bottiglia. Il colore è paglierino ma molto limpido, mentre al naso prevale la nota fumè sostenuta, però, da sentori agrumati.
Al palato si impone la straordinaria pulizia del vino e, a seguire, una bella acidità e un finale con delicati sentori di mandorla dolce. Il gran lavoro del giovane enologo Evalt Domi è quello di fare vini semplici, di facile interpretazione e molto puliti.
Il Ceruja 2018 della Kantina Uka è prodotto da 100% di Ceruja allevata a pergola maritata in una vigna secolare che non è stata mai colpita dalla peronospera.
La fermentazione avviene a temperatura controllata e criomacerazione per 48 ore; il vino matura 8-10 mesi in acciaio e affina 3 mesi in bottiglia.
Dal colore paglierino con riflessi verdolini. Il profumo ha qualcosa di selvatico e forse un po’ difficile da identificare, al palato si avverte un po’ di mineralità mentre la presenza di acidità si fa strada a poco a poco.
E’ un vino unico perché lo produce solo la famiglia Uka (che in albanese significa lupo, oltretutto riprodotto in etichetta).
Passiamo a un vino naturale, lo Shesh i Bardhe 2017 della Kantina Balaj. Naturale perché Artan Balaj utilizza solo uva molto matura (proveniente da una vigna sottoposta ad una temperatura che arriva ai 40° e non piove quasi mai) secondo il metodo sloveno dove ha lavorato per diversi anni; privilegia, inoltre, la macerazione lunga 30 giorni, con il vino che matura in acciaio per 8-10 mesi e affina in bottiglia per 3 mesi nella cantina ricavata in una galleria che era stata costruita per il passaggio della ferrovia.
Il colore è ambrato, quasi da vino passito. Al naso prevalgono le note iodate forse dovute al fatto che la vigna è ha ridosso di una salina. Molto particolare è, poi, la nota tannica che si sente in bocca e la bella acidità che rende il vino ancora più interessante.
Lo Shesh i Zi 2016 della Kantina Balaj ha una macerazione di 35 giorni e senza controllo della temperatura.
Il vino matura 12 mesi in acciaio e affina per almeno 6 mesi in bottiglia. Il colore è un rosso molto carico, mentre al naso è un’esplosione di fiori e di frutti rossi appena raccolti e un leggero sentore di spezie dolci.
Sapidità, mineralità, speziatura e balsamicità sono i sentori che si avvertono al palato, insieme ad un tannino tendenzialmente dolce.
Tempranillo 2017 della Duka Winery ha qualche somiglianza con il vitigno presente dalle nostre parti che in questa cantina matura 12 mesi in acciaio e affina 6 mesi in bottiglia.
Il colore è rosso rubino con riflessi granato e al naso si sentono profumi di fichi secchi e di datteri. Al palato è avvolgente, con un bel carattere, gradevole e beverino.
Infine citiamo il Medaur 2018 della Kantina Medaur: la vigna di Kallmet è allevata ad alberello e il vino matura 8 mesi in acciaio e affina 12 mesi in barrique francese con legno che fa sentire al sua presenza senza essere invadente.
Il colore è rosso intenso che conserva anche per molti anni, mentre al naso è ben presente la rosa tipa del Kallmet oltre a delicate note del legno. In bocca è un vino avvolgente, anche se il tannino è un po’ polveroso ma controbilanciato da un finale che offre un piacevole sentore di tartufo.
Dunque, sull’altro lato dell’Adriatico, c’è un popolo fiero delle proprie tradizioni che sta cercando di crearsi una propria identità enologica, studiando e facendo riferimento a modelli di maggior successo. Merita dunque una chance di assaggio.