Accise in UK colpiscono il vino: si pagherà in base al grado alcolico

Settembre 2023 verrà ricordato nella storia del vino come un momento estremamente difficile a seguito del brusco calo delle esportazioni. A questo si è aggiunta la recente riforma delle accise sull’alcol nel Regno Unito.

Costi in aumento per i vini fermi, in discesa per le bollicine

Entrata in vigore l’1 agosto 2023 la nuova riforma britannica ha stabilito un nuovo criterio: l’accisa viene calcolata non più sui volumi, bensì sul grado alcolico. Seguendo questa logica, quindi, si paga di più sui vini fermi che sugli spumanti.

Bottiglie di vino
Foto | Unsplash @Hermes Rivera – Vinamundi.it

Al momento, per i vini fermi da 11,5 a 14,5 gradi l’accisa passa da 2,97 a 3,56 sterline al litro (circa il 20% in più) e potrebbe aumentare nel corso dei prossimi mesi, mentre per i vini oltre i 14,5 gradi si passa da 3,96 sterline al litro a 4,27 sterline e, infine, per quelli a 15,5 gradi l’accisa sale da 3,96 sterline al litro a 4,41. Viceversa, l’accisa sugli spumanti scende da 3,81 sterline a 3,56 (-il 6,56%).

Dopo un primo periodo di transizione, che durerà circa 18 mesi, le accise cambieranno nuovamente e verrà stabilita una quotazione per ogni grado, il che comporterà non pochi disagi dal punto di vista amministrativo.

Inevitabilmente l’impatto che la nuova riforma potrà avere solo sul consumatore finale. A tal proposito si è espresso Miles BealeCEO della Wine and Spirit Trade Association: “Gli aumenti finiranno per gravare sui consumatori di vino. Le tasse non devono essere tassative – ha sottolineato, facendo riferimento a un principio dello stesso Dipartimento delle Entrate e Dogane di Sua Maestà – quindi la revisione delle accise non è necessariamente una cosa fatta. Almeno non ancora”.

Prevedibili le complicazioni sorte per il vino italiano che, oltre alle accise introdotte dal Regno Unito, deve far fronte anche ai rialzi dei dazi da parte della Russia.

Tra le due, in ogni caso, a preoccupare l’Italia è maggiormente la Gran Bretagna, dato che equivale al terzo sbocco per le etichette italiane con un fatturato di 741 milioni risalente al 2022.

L’aspetto più allarmante riguarda il modus operandi delle nuove accise britanniche:  mentre, in linea con le indicazioni dell’OMS per limitare il consumo di alcol nel mondo l’Irlanda punta sulle avvertenze in etichetta, il Regno Unito ha deciso di affidarsi a un sistema che calcola le accise in base al grado alcolico del prodotto.

Colpire il vino per dare più spazio alla birra

Appare chiaro, quindi, come la riforma andrà sicuramente a discapito del vino per lasciare, invece, più ampio spazio alla birra.

“La scelta del Regno Unito segna una novità assoluta in Europa – commenta Paolo Castelletti, Segretario Generale dell’Unione Italiana Vini (UIV) –  per la prima volta, infatti, l’accisa non si calcola più solo sui volumi ma sul grado alcolico. Ma se da una parte la tassa sembra fatta per scoraggiare i consumi di superalcolici – ha aggiunto – dall’altra penalizza anche il vino – che nulla ha a che fare con gli spirits –  e da vantaggio, forse non a caso, l’industria della birra”.

Un calice di birra
Immagine | Pixabay @Alexas_Fotos – Vinamundi.it

A preoccupare Castelletti non è tanto questa situazione primordiale, ma ciò che potrà accadere una volta scaduti i 18 mesi di transizione, cioè quando le accise potrebbero rivelarsi ancora più restrittive.

“C’è preoccupazione non solo per questo periodo transitorio di 18 mesi, che vede un aumento delle accise nell’ordine del 20% per i vini fermi e un decremento del 6,5 per gli spumanti, ma anche per futuro – sostiene – quando le accise cambieranno e ogni grado (o frazione) avrà la propria quotazione, causando non pochi disagi anche sul piano amministrativo”.

L’inasprimento fiscale da parte di Londra ha seguito l’innalzamento dei dazi introdotto recentemente da Mosca che, tramite un decreto che ha spazzato via tutte le rassicurazioni fornite precedentemente dalle autorità, ha sottoposto tutti i vini e i Vermouth a un dazio doganale del 20% – a fronte della tariffa precedente del 12,5% -.

Dunque le prospettive per il vino non solo italiano, ma europeo, si complicano: le giacenze, già a inizio vendemmia, sono state ai massimi livelli sia in Italia, sia in Spagna; in Francia, insieme alle misure per il ritiro dal mercato del vino, è stato introdotto un piano di estirpazione dei vigneti “in eccesso” nella zona di Bordeaux; sempre in Spagna (notizia di pochi giorni fa), sono state rifiutate numerose domande di autorizzazione per piantare nuovi vigneti.

Insomma, il quadro del vino è, al momento, piuttosto drammatico. L’augurio è che si possa trovare un compromesso che, se con la Russia sembra abbastanza difficile (se non impossibile) da raggiungere, potrebbe concretizzarsi invece con il Regno Unito.

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